Wednesday, November 04, 2009

La Svizzera entra in guerra e, per fronteggiare il nemico italiano, ora pattuglierà anche i cieli.

 

La battaglia d'Inghilterra, memorabile episodio della storia bellica quando la Luftwaffe di Hermann Göring, preparando l'invasione all'isola, s'imbarcò nella più famosa battaglia aerea di tutti i tempi, in cui un pugno di Spitfire della Regina misero infine in ginocchio l'aviazione nazista.

Per fortuna al nostro confine settentrionale non siamo ancora giunti ad aprire il fuoco, eppure gli aerei già volano.
Forse il paragone col secondo conflitto mondiale è un po' eccessivo, ma non c'è differenza dalle operazioni che si conducevano in Germania oltre il muro, sui cieli dell'ex Unione Sovietica.
La Svizzera è incattivita, per le questioni dello scudo fiscale si sta paradossalmente avvicinando ad atteggiamenti bellici dalla quale si era astenuta durante i due conflitti mondiali che sconvolsero l'Europa; vagli a toccare i soldi.

Ora la Confederazione mette addirittura in campo l'aviazione.
Da 3000 metri d'altezza, l'aereo drone svizzero (nella foto), un veivolo senza pilota in dotazione al corpo della guardie di confine con il sostegno delle Forze aeree, sorvolerà il Ticino nel corso delle prime tre settimane di novembre, con particolare attenzione alla fascia di confine per intercettare movimenti alla frontiera e impedire azioni illegali da parte delle autorità italiane.

Lo scopo dell'aereo anti spie, come comunicato delle guardie di confine, sarà garantire la sicurezza interna e, per raggiungere questo obiettivo, la Svizzera si dichiara disposta a "fare ricorso a tutte le risorse disponibili", facendo appello anche alla comprensione della popolazione per gli eventuali disagi che ne deriveranno.



Monday, October 19, 2009

Mattino 5 contro il giudice Mesiano che ha condannato Fininvest

Button mondiale nell'anno Brawn

Gara spettacolo di Jenson Button al Gp del Brasile: mai nella storia della F1 un misero quinto posto è stato tanto ammirato. Con questa posizione l'inglese si è laureato campione del mondo ma, soprattutto, per raggiungerla Button ha lottato come un leone, infilandosi in punti impossibili per effettuare sorpassi da cineteca. Bello. Il pubblico brasiliano, sia pure ammutolito dalla debacle Barrichello, ha ammirato.

Certo, Button ci ha messo 169 Gp per conquistare il titolo di campione del mondo, ma le sue doti di guida non sono mai state messe in discussione, anche se in questa seconda metà di stagione le sue prestazioni sono state nettamente inferiori a quelle di inizio campionato, al punto di far accendere i sogni mondiali per Barrichello e Vettel. In ogni caso ora la partita è chiusa. Mondiale assegnato, anzi "mondiali" perchè la Brawn Gp si è portato a casa anche quello costruttori

Ma torniamo alla gara. Oggi il dominatore è stato Webber, primo al traguardo, seguito poi Kubica, Hamilton, Vettel, Button, Raikkonen, Buemi, Barrichello, Kovalainen, Kobayashi, Fisichella, Liuzzi, Grosjean, Alguersuari. Va detto però che sulla bella gara di Webber pesa un'ombra: quella della brutta "sportellata" data a Raikkonen subito dopo il via. Non è questione di essere ferraristi o no: una manovra del genere è davvero pericolosa ed è andata bene a Raikkonen che se l'è cavata solo con la rottura dell'alettone anteriorie. In ogni caso peccato per la Ferrari perché Kimi aveva fatto una partenza spettacolare e stava per conquistare subito la seconda posizione.

Il vero sconfitto di oggi però è il povero Barrichello, solo ottavo al traguardo: Rubens dopo essere scattato bene dalla pole è finito nei guai perche nella seconda metà della gara non è riuscito più a far segnare i tempi dei primi giri. E, beffa nella beffa, a 8 giri dal termine è stato anche costretto ad una sosta forzata per sostituire una gomma posteriore forata. In quel momento per lui le speranza mondiali erano già morte e sepolte, però almeno la soddisfazione di andare sul podio Barrichello l'accarezzava davvero.

Ordine d'arrivo
1. Mark Webber (Aus) Red Bull-Renault in 1h32'23"081 alla media di 198,695 Km/h
2. Robert Kubica (Pol) BMW Sauber a 7"626
3. Lewis Hamilton (Gbr) McLaren-Mercedes 18"944
4. Sebastian Vettel (Ger) Red Bull-Renault 19"652
5. Jenson Button (Gbr) Brawn-Mercedes 29"005
6. Kimi Raikkonen (Fin) Ferrari 33"340
7. Sebastien Buemi (Sui) Toro Rosso-Ferrari 35"991
8. Rubens Barrichello (Bra) Brawn-Mercedes 45"454
9. Heikki Kovalainen (Fin) McLaren-Mercedes 48"499
10. Kamui Kobayashi (Jpn) Toyota 1'03"324
11. Giancarlo Fisichella (Ita) Ferrari 1'10"665
12. Vitantonio Liuzzi (Ita) Force India-Mercedes 1'11"388
13. Romain Grosjean (Fra) Renault 1 giro
14. Jaime Alguersuari (Esp) Toro Rosso-Ferrari 1 giro
Giro più veloce: (25.) Webber in 1'13"733

Classifica del Mondiale Piloti
1. Jenson Button (GBR) 89 punti (Campione del Mondo)
2. Sebastian Vettel (GER) 74
3. Rubens Barrichello (BRA) 72
4. Mark Webber (AUS) 61.5
5. Lewis Hamilton (GBR) 49
6. Kimi Raikkonen (FIN) 48
7. Nico Rosberg (GER) 34.5
8. Jarno Trulli (ITA) 30.5
9. Fernando Alonso (ESP) 26
10. Timo Glock (GER) 24
11. Felipe Massa (BRA) 22
. Heikki Kovalainen (FIN) 22
13. Robert Kubica (POL) 17
14. Nick Heidfeld (GER) 15
15. Giancarlo Fisichella (ITA) 8
16. Adrian Sutil (GER) 5
. Sebastian Buemi (SUI) 5
18. Sebastian Bourdais (FRA) 2


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Wednesday, October 14, 2009

Per non dimenticare: Il Times intervista Daniele Luttazzi, uno dei grandi epurati dal berlusconismo!

martedì 13 ottobre

Per non dimenticare: Il Times intervista Daniele Luttazzi, uno dei grandi epurati dal berlusconismo

 

 



 

Suvvia - dice qualcuno - non è mica un regime. Eppure degli strascichi di regime questo governo se li porta dietro. Ad una settimana dalla mobilitazione nazionale per la libertà di stampa (se ne parla qui http://www.agoravox.it/300-000-in-piazza-a-Roma-per.html e qui www.barberafabio.spaces.live.com) per farci vedere com'è difficile fare satira, informazione e controinformazione in Italia in tempo di berlusconismo, qualche tempo fa una giornalista del Times, Lucy Bannerman, ha intervistato Daniele Luttazzi. Ecco cosa ne è venuto fuori!


Ci spiega per favore come è stato citato in giudizio da Berlusconi e perché?

Nel marzo 2001 conducevo con successo (7 milioni e mezzo di spettatori) un mio talk-show satirico notturno su Rai2 intitolato "Satyricon". In una puntata intervistai un giornalista allora sconosciuto, Marco Travaglio, che aveva pubblicato da un mese un libro di cui nessuno parlava. Il libro s'intitolava "L'odore dei soldi" e riguardava le origini misteriose dell'impero economico di Berlusconi. Parlammo dei fatti emersi nel processo a Marcello Dell'Utri, braccio destro di Berlusconi, fondatore di Forza Italia (il partito di Berlusconi) ed ex-capo di Publitalia (la concessionaria di pubblicità di Berlusconi). Berlusconi fece causa per diffamazione a me, a Travaglio, alla Rai e al direttore di Rai2, Carlo Freccero, che con coraggio aveva mandato in onda l'intervista. Da me Berlusconi voleva 20 miliardi di lire. Quattro anni dopo quell'intervista, Marcello Dell'Utri è stato condannato in primo grado a nove anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. (Dell'Utri non è in carcere, però: è diventato senatore del partito di Berlusconi). Nel 2005 ho vinto la causa e Berlusconi è stato condannato a pagare 100mila euro di spese legali. Insieme con Berlusconi, mi fecero causa anche Mediaset (per 5 miliardi di lire), Fininvest (per 5 miliardi di lire) e Forza Italia (per 11 miliardi di lire). Ho vinto tutti i processi. Quell'intervista non diffamava nessuno. Informava in modo corretto.

Che genere di conseguenze ha avuto questa causa sulla sua carriera?

Nel giugno 2001, Berlusconi vinse le elezioni politiche diventando capo del governo. Nel 2002, in visita di Stato in Bulgaria, Berlusconi pronunciò il famigerato "editto bulgaro": disse alla stampa che io e altri due giornalisti (Enzo Biagi, il Walter Cronkite italiano; e Michele Santoro) avevamo fatto un "uso criminoso" della tv di Stato e lui si augurava che questo non si ripetesse. Io, Biagi e Santoro venimmo cancellati dai palinsesti: i dirigenti Rai (nominati dalla maggioranza politica berlusconiana) decisero "autonomamente" di non riconfermare i nostri programmi tv. Giustificarono la cosa come "scelta editoriale". Da allora io non sono più potuto tornare a fare programmi tv in Rai. Vent'anni di attività artistica azzerati. L'editto bulgaro, che per me è ancora in corso in Rai, impedisce due libertà: la mia di esprimermi e quella del pubblico di ascoltarmi. Questa è censura ed è inaccettabile. Immagina Gordon Brown che fa causa al comico Paul Merton perché non lo gradisce! Inoltre i lunghi processi ti vessano economicamente e psicologicamente. Infine, continuo a recitare i miei monologhi satirici in teatro, ma siccome non sono più in tv ed essendo Berlusconi un mio avversario, sono sempre meno i teatri che decidono di mettermi in cartellone, nonostante io faccia sempre il tutto esaurito. Il problema è politico. E' maccartismo.
 
In che misura ha il suo esempio scoraggiato altri satirici / giornalisti / commentatori dal criticare Berlusconi?

Al punto che non esiste più un programma di satira nella tv italiana. In Rai, ma anche a Mediaset, a La7 e su Sky vanno in onda programmi comici dove al massimo si prende in giro Berlusconi per cose superflue (il suo lifting, la sua altezza) ma non per quelle gravi (la depenalizzazione del falso in bilancio, il conflitto di interessi enorme, la legge Alfano). Tre anni fa, Sky Italia chiese di incontrarmi. Proposi un Tg satirico. Mi chiesero come avrei reagito se avessero tagliato al montaggio qualche battuta. Gli risposi che il contratto glielo avrebbe impedito. Sono spariti. Quanto a La7, il mio nuovo programma tv "Decameron" (2007) è stato interrotto alla quinta puntata, dopo che avevo registrato il monologo della sesta puntata, una satira sull'enciclica di Ratzinger.

La satira, dai tempi di Aristofane, dà fastidio perché esprime un giudizio sui fatti, addossando responsabilità. I miei monologhi colpiscono Berlusconi ma anche la religione organizzata e l'opposizione inesistente del PD, inclusi gli scandali in cui sono coinvolti dirigenti di sinistra (il caso Unipol). Ecco perché anche l'opposizione qua si disinteressa alla libertà della satira in tv, che è libertà della democrazia. Neppure Rai3, i cui dirigenti sono di sinistra, mi ha mai chiesto di tornare in tv, in questi anni. Il potere, in Italia, è suddiviso fra clan di destra e di sinistra. Scandali recenti hanno mostrato come questi clan si mettono spesso d'accordo sulla gestione della cosa pubblica, a livello locale e a livello nazionale. Lo stesso tipo di accordo precede le nomine dei dirigenti Rai. Il risultato è che la democrazia sostanziale è corrotta.
 
Michele Santoro, giornalista di sinistra, è tornato in Rai grazie a un giudice che lo ha reintegrato nel suo posto di lavoro (Santoro era dipendente Rai quando venne cancellato, io no), ma nel suo programma deve sempre ospitare qualche esponente di destra. Si dà per scontato cioè che Santoro debba essere controllato e contraddetto nella sua attività giornalistica perché sgradito a Berlusconi. Non è umiliante? Per contro, un giornalista berlusconiano, Clemente J. Mimun, quando diventò direttore del Tg1 Rai si segnalò per gravi frodi giornalistiche, tutte favorevoli a Berlusconi: fra l'altro, tolse il sonoro a Berlusconi che dava del kapò all'europarlamentare Shultz, non diede la notizia di Berlusconi che aveva definito l'assassinio di D'Antona "un regolamento di conti a sinistra", e nel 2004 aggiunse al montaggio un pubblico di delegati ONU plaudente a Berlusconi che in realtà parlava all'ONU in una sala semivuota. Il pubblico di delegati applaudiva Kofi Annan. Era un altro filmato! Un falso clamoroso! Questo nel Tg principale della tv italiana. Mimun veniva da Mediaset e lì è tornato. La Rai attuale è piena di dirigenti che vengono da Mediaset, vere quinte colonne. Un anno fa, le intercettazioni telefoniche hanno mostrato come questi dirigenti si fossero accordati con quelli di Mediaset per una programmazione che favorisse Berlusconi in occasione dei funerali di Woytila e delle concomitanti elezioni. Il governo Berlusconi nel frattempo ha proposto una legge che proibisce la pubblicazione delle intercettazioni telefoniche! Se questa legge fosse stata fatta dieci anni fa, nessuno conoscerebbe gli scandali politici, economici e sportivi più gravi della storia italiana recente.
 
Quali somiglianze vede tra il controllo della stampa nel ventennio fascista e il controllo dei media al tempo di Berlusconi?

Nel ventennio fascista l'unica agenzia di stampa era quella del regime, l'Agenzia Stefani. I giornali si attenevano a quello che scriveva l'Agenzia Stefani. I giornali liberi venivano chiusi e gli oppositori al regime perdevano il posto di lavoro, venivano mandati al confino, venivano uccisi. Oggi non uccidono gli oppositori, ma ti mandano al "confino mediatico": ti tolgono gli spazi di espressione che avevi e che ti eri conquistato col tuo lavoro. Questa è la minaccia sempre presente.
L'altra minaccia è legata all'enorme conflitto di interessi di Berlusconi. Ha aziende tv e imprese di assicurazione e di distribuzione pubblicitaria e cinematografica. Questo inquina la libertà del mercato. Un'inchiesta recente ha dimostrato che, da quando è al governo Berlusconi, molte aziende hanno tolto pubblicità dalle reti Rai per spostarle su quelle Mediaset di Berlusconi. Berlusconi inoltre controlla la politica economica e i servizi segreti. La sua influenza si estende su OGNI settore della vita italiana. E' un potere di ricatto enorme. Uno dei pochi giornali di opposizione vera, il manifesto, sempre documentatissimo e corretto, stenta a sopravvivere perché le aziende italiane non comprano spazi pubblicitari. Ecco un altro tipo di strozzatura. Non stupisce allora che i passi della quasi totalità della stampa e della tv italiana siano felpati. Il caso recente di Veronica Lario e Noemi ha dimostrato una volta per tutte l'esistenza di una sorta di Agenzia Stefani contemporanea, prontissima a ubbidire alle esigenze del Capo e a massacrare la vittima di turno (sua moglie, in questo caso). Fra giornalisti e testate, la lista dell'inquinamento berlusconiano è lunga.
 
Concentriamoci sul caso di Noemi Letizia. Come ha usato Berlusconi il suo controllo e la sua influenza sulla stampa nazionale per proteggersi da ogni possibile danno politico?

In 24 ore la risposta berlusconiana è stata massiccia e su tutti i fronti possibili. E' andato a Raiuno nel programma "Porta a porta" di Bruno Vespa, dove ha raccontato la sua versione senza il minimo contraddittorio, accusando la moglie, e approfittando dell'occasione per fare un spot pubblicitario sulle iniziative del governo in materia di aiuto ai terremotati dell'Aquila. Nessun giornalista presente (neppure il direttore del Corriere della Sera) ha ricordato che dei 12 miliardi di aiuti promessi da Berlusconi, il governo ne ha stanziati in realtà solo 4. E nell'arco di 24 ANNI! Una beffa crudele di cui nessuno ha chiesto spiegazioni a Berlusconi lì presente. Ci fossi stato io fra gli ospiti, questa sarebbe stata la domanda, decreto legge del 28 aprile alla mano. Il danno politico sarebbe stato enorme ed è stato evitato.
 
In questi 15 anni berlusconiani, pochi in Italia (giornalisti, autori satirici) gli hanno chiesto conto delle centinaia di promesse false e mai mantenute. Chi lo farebbe non ha accesso. Chi decide sull'accesso? Dirigenti tv di nomina politica. Di chi è la maggioranza politica che fa il bello e il cattivo tempo praticamente indisturbata? Di Berlusconi, un imprenditore che, in base a una legge del 1957, non poteva neppure candidarsi alle elezioni, in quanto titolare di concessioni pubbliche. La legge prevedeva e cercava di impedire il conflitto di interessi. Che adesso c'è ed è enorme. Il danno venne fatto allora, permettendo a Berlusconi di candidarsi. Tutto il resto è solo una conseguenza di quella illegalità iniziale. Perché gli venne permesso di farlo? Non lo so, ma ne vedo gli effetti: un Paese in cui vige un "fascismo light" che non mi piace per niente, con al governo partiti xenofobi e razzisti.
 
Un'altra mossa, non meno importante, è stata quella del portavoce di Berlusconi, il senatore Paolo Bonaiuti, che ha subito convocato per una riunione i direttori dei periodici cattolici che avevano criticato Berlusconi. Il voto cattolico è importante per Berlusconi e ai cattolici importano le leggi berlusconiane in difesa della scuola privata cattolica e dei privilegi economici tipo l'esenzione della tassa ICI per gli immobili del clero cattolico in cui si svolgano attività commerciali o la truffa vera e propria dell'8 per mille. Il giorno dopo, grande risalto al fatto che, grazie al divorzio da Veronica Lario, Berlusconi potrà essere riammesso al sacramento della comunione durante la messa!
 
Quando si è iniziato a parlare che le cause del divorzio dalla Lario erano le "minorenni", gli osservatori internazionali hanno speculato che la storia avrebbe potuto distruggere il Cavaliere. Ma, nei fatti, lui rimane popolare come sempre. Perché?

Perché il suo contro-racconto è stato rapidissimo e pervasivo, mentre sua moglie (la vittima) è stata zittita e insultata come una poco di buono e come cornuta ("Libero", editoriale dell'allora direttore Feltri ora passato al Giornale, ndr). La propaganda dell'Agenzia Stefani funziona e Berlusconi ne è un maestro. Sua moglie lo conosce da trent'anni e lo ha definito un uomo malato. Ecco un'altra domanda che avrei fatto a Berlusconi, se fossi stato ospite di "Porta a porta": di che malattia sta parlando sua moglie, presidente?
 
Quali sono le implicazioni di lungo termine del regime di Berlusconi sul futuro della democrazia italiana?

Il danno è già stato fatto. Siamo un Paese non pienamente libero. Gli italiani hanno disimparato che come cittadini hanno dei diritti e dei doveri. E occorreranno decenni perché gli italiani imparino di nuovo a rispettare le leggi, come era naturale invece negli anni passati anche grazie all'esempio dei grandi politici di allora: De Gasperi, Einaudi, La Malfa, La Pira, Dossetti, Berlinguer, Pertini, Scalfaro.
 
Lei ha vinto la sua causa in tribunale. Che tipo di reazioni ha avuto?

I giornali ne hanno parlato senza troppo risalto nelle pagine interne (eppure era una notizia bomba: immagina Paul Merton che vince la causa contro Gordon Brown!), mentre la notizia della querela di Berlusconi contro di me era stata data in prima pagina.
 
Spera di tornare in TV?

Ovviamente. La tv non è un hobby: è il mio lavoro e c'è un pubblico numeroso che stravede per me (e io per loro). Il maccartismo è immorale e illegale.
 
In virtù di quali circostanze, lei ritiene che la satira possa tornare nella cultura popolare italiana?

La satira italiana non se n'è mai andata. E' solo sparita a forza dalla tv. Ma i censori dimenticano una cosa: il tempo è dalla nostra parte (Mick Jagger).
 
 
 
 
 
 
 
 

Monday, October 05, 2009

I condoni «mai più» e gli incassi dimenticati

Cinque anni dopo non ancora riscossi 5,2 miliardi della misura del 2003. Ogni volta la promessa: sarà l'ultimo. Risultati quasi sempre al di sotto delle stime

Non chiamatelo condono. D'accor­do, si potranno rimpatriare i denari sot­tratti al fisco pagando il 5%, meno di un quarto della più bassa aliquota Ir­pef. D'accordo, con quel misero 5% si potranno sanare reati penali e al riparo dell'anonimato. Ma non chiamatelo condono. Come potete chiamarlo, allo­ra? Forse «un intervento che rientra nella strategia concordata a livello in­ternazionale per combattere i paradisi fiscali», come l'ha definito Giulio Tre­monti? O «sistemazione del passato», secondo lo strepitoso suggerimento del compianto deputato nazional allea­to Pietro Armani? Ma potreste anche non chiamarlo affatto. «I condoni fatti da questo governo sono stati pochissi­mi e per casi limitatissimi. È la sinistra, con la sua propaganda, a parlare di con­doni, in realtà mai avvenuti». Mai avve­nuti. Lo disse il Guardasigilli Roberto Castelli il 31 marzo del 2006 a Radio An­ch'io. Di lì a poco anche il nuovo gover­no di centrosinistra di Romano Prodi avrebbe fatto il suo bravo condono (l'indulto), ma sul fatto che durante i cinque anni precedenti non si fossero fatti condoni, beh… In un rapporto del novembre 2008 sulle sanatorie fiscali la Corte dei conti ne ha contati 13, soltanto fra il 2003 e il 2004. E lì i magistrati contabili non hanno avuto timore a chiamare «con­dono » anche il primo scudo fiscale, pa­pà della nuova sanatoria per i capitali illegalmente esportati. Quella che l' Av­venire , il quotidiano dei vescovi, che ha definito «una beffa» perpetrata dal «furbetto del governino» dopo essere stato allargato in Parlamento anche ai reati penali. Una bella botta per Tre­monti, che avendo all'inizio escluso tas­sativamente la non punibilità di nefan­dezze tipo il falso in bilancio, si è poi rassegnato: «Senza le modifiche del Parlamento lo scudo sarebbe stato un suicidio». Un suicidio? Già, «sarebbe stato un'autodenuncia penale».

Ci sarebbe da domandarsi che fine abbiano fatto le telecamere alle frontie­re (con la Svizzera?) che aveva promes­so di installare dopo il primo «scudo fi­scale del 2002-2003» per pizzicare gli spalloni che avessero continuato a fro­dare il fisco. Ma comunque, evviva la sincerità del ministro dell'Economia. Ma quella del deputato del Pdl Michele Scandroglio non è forse sincerità? «Non c'è dubbio che la teoria dei con­doni sia passibile di critiche. Però non dobbiamo nasconderci dietro un dito: gli italiani sono anche questo. Noi dob­biamo rappresentare al meglio la realtà che abbiamo, si fa quello che si può con quello che siamo».

Poco prima delle elezioni del 2008 Tremonti ha giurato davanti alle teleca­mere di Repubblica Tv: «Oggi non ci so­no più le condizioni per fare i condoni, che non certo ho fatto volentieri ma perché costretto dalla dura necessità. I condoni sono una cosa del passato». Concetto ribadito addirittura dal futu­ro premier Silvio Berlusconi, questa volta durante una video chat con il Cor­riere. it: «Basta con la stagione dei con­doni. La prossima sarà una stagione di forte contrasto all'elusione e all'evasio­ne fiscale». (31 marzo 2008). Adolfo Ur­so, esponente di An ora viceministro, dichiarava un paio di mesi prima: «Ven­go dalla cultura della legalità della de­stra e dico: mai più condoni di nessun tipo, nemmeno l'indulto».

Poi, quando l'Unione europea boc­ciò il condono Iva varato dal preceden­te esecutivo di centrodestra nel 2003 ri­tenendo che avesse «seriamente» dan­neggiato il mercato comune e favorito i contribuenti colpevoli di frode fisca­le, Tremonti commentò: «Messaggio ri­cevuto, per il futuro è impegno del go­verno escludere provvedimenti del ti­po oggetto della sentenza». (luglio 2008).

Ma non si potrebbe dire che il mini­stro dell'Economia non avesse mai ma­­nifestato ostilità verso le sanatorie. Di­ciotto anni fa, mentre l'ultimo governo di Giulio Andreotti stava per approva­re la terza sanatoria fiscale della storia repubblicana Tremonti scrisse in un editoriale del Corriere: «In Sudamerica il condono fiscale si fa dopo il golpe. In Italia lo si fa prima delle elezioni ma mutando i fattori il prodotto non cam­bia: il condono è comunque una forma di prelievo fuorilegge». Passato quel condono, l'allora segretario generale delle Finanze Giorgio Benvenuto, in se­guito parlamentare del centrosinistra, promise: «Questo condono sarà l'ulti­mo ». Quattro anni più tardi arrivò il concordato fiscale. Ma il ministro Au­gusto Fantozzi sentenziò: «Credo che ormai l'epoca dei condoni sia tramonta­ta ». Mai previsione fu meno azzeccata. Sei anni dopo, ecco lo scudo fiscale e la raffica di sanatorie tributarie. Le pole­miche si erano appena smorzate quan­do, nell'estate del 2003, il sottosegreta­rio Giuseppe Vegas oggi viceministro all'Economia, azzardò: «In futuro non ci saranno altri condoni». Mentre il ca­pogruppo di Forza Italia Renato Schifa­ni ammoniva: «Siamo di fronte all'ulti­mo giro di boa di una riforma fiscale. Il cittadino sa benissimo che una volta varata non ci sarà più spazio per la cle­menza ». Pochi mesi dopo, la finanzia­ria 2004 reiterò il condono fiscale tom­bale. E toccò al successore di Tremonti, Domenico Siniscalco, ripetere ancora nel 2004: «La stagione dei condoni è fi­nita » .

Arriviamo quindi ai giorni nostri. Non che nel frattempo i vari condoni non siano stati rivendicati. Durante la campagna elettorale del 2006 Berlusco­ni arrivò ad affermare che «i condoni non sono poi così negativi, visto che l'Unità, l'Unipol e il signor Prodi, in una società in cui è presente un suo fa­miliare, ne hanno usufruito». Per con­cludere: «I condoni hanno portato mol­ti soldi all'erario e vi ha ricorso chi ave­va evaso le tasse durante il governo Prodi » .

Sul fatto che i condoni abbiano fatto ricco il Fisco, tuttavia, si potrebbe di­scutere. Secondo la Cgia di Mestre tutti i condoni, compresi quelli edilizi e pre­videnziali, varati dal 1973 a oggi avreb­bero garantito un incasso, attualizzato in valuta 2005, di 104,5 miliardi di eu­ro. Se fosse così, in trent'anni l'Erario avrebbe recuperato con le sanatorie l'evasione fiscale di un solo anno, che è appunto stimata in circa 100 miliardi di euro. Ma se fosse così. Una fonte al di sopra di ogni sospetto, e cioè la rivi­sta on-line dell'Agenzia delle Entrate Fi­scooggi. it ha calcolato invece che dal 1973 al 2003 lo Stato ha incassato con i principali condoni tributari, previden­ziali, assicurativi, valutari ed edilizi 26 miliardi di euro. Fatevi i conti sul nu­mero degli abitanti: 15 euro a testa l'an­no. L'equivalente di una pizza e una bir­ra, per fare strame di quel minimo di correttezza civica che esisteva in Italia. Soltanto in due casi, vale a dire con i condoni fiscali del 1982 e del 1992, si è superata la previsione di gettito. In al­tri casi, si è andati ri­dicolmente sotto le stime. Come se non bastasse, c'è stato pure chi ha aderito al condono ma poi non ha nemmeno pagato o pagato tut­to. La Corte dei con­ti nel novembre 2008 ha rivelato che a quella data resta­vano da incassare ancora 5,2 miliardi di euro dei 26 mi­liardi attesi per il condono 2003-2004, in base alle dichiarazioni pervenute alle Fi­nanze. Cinque mi­liardi su 26: il venti per cento.

In quel rapporto si racconta anche un altro particolare. E cioè che 34 mila persone fecero il condono tombale in forma anonima, avvalendosi di una fa­coltà prevista da quella sanatoria: pre­sentare al Fisco una «dichiarazione ri­servata », come per lo scudo fiscale. Con il risultato di restare nell'ombra pure in quel caso. Ma il numero di 34 mila è soltanto una stima. Quando il magistrato della Corte dei conti ha chie­sto di avere i dati relativi a quelle di­chiarazioni «riservate» si è sentito ri­spondere dall'Agenzia delle entrate che, «trattandosi di dati sensibili», era­no «in possesso unicamente del mini­stro ». Ma potevano avere sulla coscien­za 34 mila suicidi?

Sergio Rizzo
04 ottobre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

www.corriere.it

Tuesday, September 29, 2009

Thursday, September 03, 2009

Vaccini, la prima prova dei genitori

L'arrivo della nuova influenza riapre la discussione sulle vaccinazioni dei ragazzi

 

Sono 15 quelli indicati per i bimbi, cinque obbligatori L'Europa chiede di renderli tutti facoltativi dal 2010

Obbligo o non obbligo? L'al­lerta mondiale per la nuo­va influenza A H1N1 ria­pre il dibattito sulle vaccinazioni obbligatorie. Che per la pande­mia si preannunciano di massa. Evento di per sé senza preceden­ti: milioni di persone vaccinate in tempi brevi, sempre che le do­si prodotte siano in grado di sod­disfare le esigenze dei diversi pia­ni governativi. Attenzione, però: vaccinazio­ne gratuita, raccomandata, ma non obbligatoria. Perché la nor­mativa internazionale tende pro­prio ad affermare la non obbliga­torietà. L'Europa stessa ha chie­sto ai Paesi membri di liberalizza­re le vaccinazioni per l'infanzia dal 2010. Una raccomandazione che riguarda Italia, Grecia e Por­togallo: unici a «resistere» in fat­to di immunizzazione obbligato­ria. A parte i nuovi vaccini intro­dotti, compreso il prossimo per la nuova influenza. Il non obbligo limita anche i ri­schi di risarcimenti milionari a carico del sistema sanitario, nel caso vi fossero effetti collaterali imputabili al vaccino. In Italia peraltro, dove le Regio­ni hanno potere in campo sanita­rio, il Veneto è già «europeo». Via l'obbligo, fatta salva una for­te campagna formativa e infor­mativa a favore delle vaccinazio­ni, a partire dai nati nel 2008. Se i genitori non vogliono, i figli a scuola andranno lo stesso. Non come qualche anno fa, quando non venivano iscritti senza il cer­tificato delle vaccinazioni obbli­gatorie eseguite. «Anche nel re­sto d'Italia — spiega Fabrizio Pre­gliasco, virologo dell'università degli studi di Milano — ormai so­no i genitori a decidere se vacci­nare, o meno, i loro figli».

Il «partito del no»
In effetti, negli ultimi anni, so­no aumentati gli anti-vaccini. Medici e genitori. Quasi una cor­rente filosofica. A parte gli an­ti- farmaci, i dubbi sono tutti le­gati all'incremento di malattie prima inesistenti: allergie, sin­dromi auto-immunitarie, neuro­degenerative, intolleranze ali­mentari... E se fosse tutto legato a questo bombardamento di sti­moli delle difese immunitarie a pochi mesi dalla nascita? Non esistono prove scientifi­che di tutto ciò, mentre al contra­rio esiste il crollo vertiginoso del­le morti da malattie infettive nel mondo occidentale. A comincia­re dal vaiolo, il cui vaccino ha aperto la strada alle immunizza­zioni.

Già nel 1700 si sapeva che chi aveva contratto il vaiolo, soprav­vivendo, non lo avrebbe più pre­so. Così, alla fine del diciottesi­mo secolo ebbe inizio quella che si può definire come l'era delle vaccinazioni, con il discutibile, ma fondamentale, esperimento di Edward Jenner. Il medico in­glese che, nel 1796, prese del pus da una mungitrice che aveva con­tratto il vaiolo bovino (forma me­no grave del vaiolo umano) e lo inoculò tramite due incisioni nel braccio di un bambino di 8 anni, per poi infettarlo, sei settimane più tardi, con il virus umano. Il bimbo non si ammalò. Ripetè l'esperimento più volte, ottenen­do sempre lo stesso risultato. Ba­sandosi sui suoi studi, la Francia napoleonica, illuminista, fu com­pletamente vaccinata nel 1806.

Certo, i vaccini oggi non sono pochi. Tra obbligatori e racco­mandati, a farli tutti (senza con­tare i cosiddetti richiami) sono almeno 14. Eccoli, divisi tra ob­bligatori (in Italia) e no: polio­mielite, difterite, tetano, pertos­se, epatite B (obbligatori e gratui­ti: si fanno nel primo anno di vi­ta, con richiamo a 5-6 anni); ae­mophilus influenzae b (anti-me­ningite), morbillo, parotite, roso­lia (raccomandati e gratuiti se si fanno con gli obbligatori); vari­cella e influenza stagionale (rac­comandati e gratuiti per catego­rie a rischio); Hpv (contro il pa­pilloma virus e il tumore dell'ute­ro) che è gratuito per le ragazze nel dodicesimo anno di vita; me­ningococco C (anti-meningite), gratuito per tutti a un anno (con richiamo a 13-15 anni) e per le ca­tegorie a rischio; pneumococco (anti-meningite), gratuito nel primo anno di vita e per le cate­gorie a rischio.

L'età dei bambini
Questa la situazione al momen­to. Con un quindicesimo vacci­no, quest'anno, che potrebbe es­sere quello pandemico. «Anche se nei bambini piccoli, se non af­fetti da patologie croniche gravi che li pongono tra i soggetti a ri­schio, sarebbe meglio evitarlo. Manca il tempo per un'ampia spe­rimentazione, come per gli altri vaccini», avverte Pregliasco. Annuisce Roberto Biasio, diret­tore scientifico di una delle azien­de produttrici di vaccini, la Sano­fi Pasteur: «Stiamo lavorando con il massimo delle tecnologie e delle competenze per assicurare efficacia e sicurezza, ma per forza di cose i tempi sono ristretti».

L'ingegneria genetica
Grazie ai vaccini, comunque, si sono evitati milioni di morti e di disabili nel mondo occidenta­le. Per la difterite, la poliomieli­te, il vaiolo, il morbillo... I polmo­ni artificiali per i sopravvissuti dalla polio sono oggi apparecchi da museo: eppure, solo pochi de­cenni fa, erano realtà. «E possia­mo fare ancora meglio — dice Ri­no Rappuoli, guru della ricerca nel campo dei vaccini alla Novar­tis di Siena —. Per esempio crea­re un vaccino unico per ogni for­ma di meningite. Con l'ingegne­ria genetica è possibile tutto». Continua Biasio: «Quello per il papilloma virus è prodotto con l'ingegneria genetica. E anche il Sabin per la polio è oggi del tutto diverso: non più orale con virus ucciso, ma in forma iniettiva, su­per purificato e efficace. I rari ca­si di paralisi post-vaccinale regi­strati un tempo sono stati azzera­ti».
E i rischi legati ai conservanti? Il mercurio, per esempio? «Vacci­ni con il mercurio non esistono più in Italia e in Europa», rassicu­ra Biasio.

La soglia di efficacia
Tornando all'obbligo e al non obbligo, il Veneto è una delle Re­gioni italiane dove la copertura vaccinale è più alta: il 95 per cen­to dei bambini è immunizzato. Spiega Pregliasco: «E il 95 per cento è la soglia efficace (stabili­ta dall'Organizzazione mondiale della Sanità, Oms) per garantire la cosiddetta immunità di greg­ge, quella che blocca la diffusio­ne della malattia. L'84 per cento della Calabria o l'80 della provin­cia autonoma di Bolzano, dove l'obbligo c'è, non garantisce l'obiettivo che invece ha raggiun­to il Veneto».

Il federalismo sanitario
La non obbligatorietà però, al­la lunga, secondo alcuni esperti, potrebbe annullare i benefici por­tati dall'era dei vaccini. «Sicuro — continua Pregliasco —. Que­sto federalismo sanitario in cui ogni Regione prospetta piani di­versi di immunizzazione, come per esempio accade con la me­ningite, può fare solo danni. Le malattie infettive si eradicano se tutti si vaccinano. È un discorso di solidarietà, a cui aderire senza obblighi, ma con la consapevo­lezza che i benefici sono enormi per i singoli, per la comunità, per l'umanità». Quindi? «Quindi, è tollerabile al massimo un mar­gine del 5% di non vaccinati», ti­ra le somme Pregliasco. E il di­scorso non si ferma all'Italia e al­le sue Regioni. Coinvolge il pia­neta. La polio sarebbe ormai azze­rata se in tutto il mondo si fosse intervenuti a tappeto. E il vaiolo? C'è ancora in qualche area ristret­ta del globo. «Potrebbe anche ri­farsi vivo là dove è considerato ormai estinto», avverte Rappuo­li. Se non si eradicano questi vi­rus e batteri dovunque, poi po­trebbero riaffacciarsi più agguer­riti di prima. ««La globalizzazio­ne non è stata solo un volano per l'industria e i servizi — spiega Giovanni Rezza, epidemiologo dell'Istituto superiore di Sanità —. Anche i virus hanno impara­to a cavalcarla alla grande».

Mario Pappagallo
02 settembre 2009

Wednesday, July 29, 2009

Gb. Il governo incita i dipendenti dei ministeri a usare Twitter

 

E pubblica online la guida all'utilizzo del popolare sito di microblogging

Il sito del Foregin Office dedicato a Twitter
Il sito del Foregin Office dedicato a Twitter
MILANO – Il Governo d'Oltremanica incita i dipendenti dei suoi ministeri a utilizzare il popolare sito di microblogging. In particolare, li invita a utilizzare Twitter per comunicare questioni importanti o eventi in programma. Ma al fine di illustrare più esaustivamente la propria visione di un corretto utilizzo dello strumento, ha pubblicato un manuale di 20 pagine contenente appunto i propri consigli e suggerimenti d'uso, oltre a una spiegazione di cosa è Twitter e del suo funzionamento.

LA GUIDA – Il documento, battezzato «Template Twitter Strategy for Government Departments», è stato pubblicato online da Neil Williams del Department for Business, Innovation and Skills (BIS) con l'invito a diffonderlo, utilizzarlo e apportare eventuali modifiche. Secondo Williams, i ministeri dovrebbero servirsi di Twitter per comunicare in modo migliore con i cittadini, a patto che i messaggi postati siano «umani e credibili». Lo stesso autore della guida riconosce che il suo documento è decisamente prolisso per essere dedicato allo strumento che fa del dono della sintesi il proprio valore, ma spiega anche di essere rimasto sorpreso da «quante cose ci sono da dire (su Twitter) e di quanto sia importante dire tutto».

TWITTER IN POLITICA – Oltre al BIS, si serve già di Twitter anche il Foreign Office britannico, e tra i rappresentati della politica del Regno Unito che già sono soliti postare comunicazioni e pensieri nel noto formato da 140 caratteri vi sono alcuni parlamentari, oltre alla first lady Sarah Brown, che se ne serve regolarmente per comunicare con i suoi 460 mila – e più – follower (iscritti). Tra i politici di casa nostra, a comunicare con disinvoltura tramite i cinguettii della rete vi sono Franco Frattini, già assiduo utilizzatore di Facebook, Sandro Bondi, Massimo D'Alema, Pierferdinando Casini e Renato Brunetta, che con poco più di 570 follower è al momento il più popolare dei cinque, perlomeno su Twitter.

Alessandra Carboni
28 luglio 2009

 

http://blogs.cabinetoffice.gov.uk/digitalengagement/file.axd?file=2009%2f7%2f20090724twitter.pdf

Wednesday, July 22, 2009

Berlusconi's country of the clueless

 

With scant coverage of pillow-talk tapes at home, Italy's PM has created an information culture typical of authoritarian regimes

 

Arguably the most striking thing about the Berlusconi tapes is that most Italians know, if at all, only vaguely of their existence.

The fact that the news magazine L'Espresso had posted to its website recordings claimed to have been made by a woman who says she went to bed with him last November in the hope of securing money or influence was just not mentioned on most of last night's TV news bulletins. As far as I can make out, the story was ignored not only by Silvio Berlusconi's own Mediaset channels, but also by the first and second channels of the public broadcasting network, RAI, and by La7, which is owned by Telecom Italia. Together, they account for about two thirds of the audience at that time of night.

It might be objected that, since the recordings and transcripts have been made available on the internet, and since they were reported in the press, it doesn't really matter that TV paid no attention to them. But that ignores two crucial points.

The first is that Italy is among the countries most indifferent to the internet. According to a report in the Guardian last year less than a third of the population had access to the web, and those Italians who were linked up used the internet relatively little. The average for the population as a whole was just two hours a week. This could explain why even Mediaset was happy today to post a story about the tapes to its website (though naturally leading on the claim by Berlusconi's lawyer that they were faked). The second important point is that, even before the arrival of free news on the internet, only about one Italian in every 10 bought a daily paper.

Word of mouth will undoubtedly spread knowledge of the tapes, in the same way that it has spread a generalised realisation that there is a scandal involving the prime minister and women. But rumour and gossip are unlikely to alter the fact that the details of this whole affair, together with its public interest ramifications, remain largely unknown to most people in Italy. That is an important reason why Berlusconi has been able to shrug off calls for his resignation.

The original controversy concerned the accusation levelled by Silvio Berlusconi's wife that he was "consorting with minors", just as it emerged that he had attended the 18th birthday party of an aspiring actress and model, Naomi Letizia. The other day I found myself (not exactly for the first time) having an argument with a Rome taxi driver. It gradually emerged that we were starting from two entirely different standpoints. He had heard Berlusconi's explanation (that the girl was the daughter of an old friend), because it was carried on TV news, and had given the prime minister the benefit of the doubt. But he was quite unaware that Berlusconi's explanation had not stood up to subsequent scrutiny, because that little detail only appeared in some of the newspapers.

What we are seeing in Italy is the emergence of an information culture typical of authoritarian regimes. There are the information haves: they include those who read papers like La Repubblica, Corriere della Sera and La Stampa; the mainly young people who regularly surf the web, and those who listen to the few independent talk radio stations like Radio 24 Ore. Then there are the much more numerous information have-nots who still take their news from TV bulletins controlled directly or indirectly by Berlusconi. This is a bizarre and alarming situation in a western European democracy, and all the more so because the have-nots are convinced they are just as well-informed as the others. They become quite indignant, even angry, if you suggest otherwise.

Before the fall of the Berlin Wall, there was a part of communist East Germany near Dresden known jokingly as the Tal der Ahnungslosen (the Valley of the Clueless). Because of some freak of topography or atmospherics, its inhabitants were unable to receive TV signals from the west and therefore had to make do with the news given to them by the regime.

No doubt they were not wholly clueless. No doubt visitors to the area told them about what they knew. No doubt, some of the young people who went to Berlin to study returned whispering tales of another and forbidden reality. But the essence of the world view held by these unfortunates was nevertheless formed by their leaders.

We are accustomed to thinking of Italy as a long, thin country with a mountainous spine. But for as long as Silvio Berlusconi remains in office we would do better to imagine it as having a deep, broad cleft running down the middle – a new Valley of the Clueless.

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2009/jul/21/berlusconi-pillow-talk-italy

 

 

Wednesday, July 15, 2009

debt

It is the month of June, on the shores of the Black Sea. 
It is raining, and the little town looks totally deserted. It is tough times, everybody is in debt, and everybody lives on credit.

Suddenly, a rich tourist comes to town.

He enters the only hotel, lays a 100 Euro note on the reception counter, and goes to inspect the rooms upstairs in order to pick one.

The hotel proprietor takes the 100 Euro note and runs to pay his debt to the butcher.

The Butcher takes the 100 Euro note, and runs to pay his debt to the pig grower.

The pig grower takes the 100 Euro note, and runs to pay his debt to the supplier of his feed and fuel.

The supplier of feed and fuel takes the 100 Euro note and runs to pay his debt to the town prostitute that in these hard times, gave her services on credit.

The hooker runs to the hotel, and pays off her debt with the 100 Euro note to the hotel proprietor to pay for the rooms that she rented when she brought her clients there.

The hotel proprietor then lays the 100 Euro note back on the counter so that the rich tourist will not suspect anything.

At that moment, the rich tourist comes down after inspecting the rooms, and takes his 100 Euro note, after saying that he did not like any of the rooms, and leaves town.

No one earned anything. However, the whole town is now without debt, and looks to the future with a lot of optimism.

And that, ladies and gentlemen, is how the United States Government is doing business today.

 

Friday, July 10, 2009

Il nemico della stampa

 
di Umberto Eco
 
Il premier vuole imbavagliare l'informazione. E nella nostra società malata la maggioranza degli italiani sembra pronta ad accettare anche questo strappo. Ma il famoso intellettuale dice: 'Io non ci sto'.
Umberto Eco
Sarà il pessimismo della tarda età, sarà la lucidità che l'età porta con sé, ma provo una certa esitazione, frammista a scetticismo, a intervenire, su invito della redazione, in difesa della libertà di stampa. Voglio dire: quando qualcuno deve intervenire a difesa della libertà di stampa vuole dire che la società, e con essa gran parte della stampa, è già malata. Nelle democrazie che definiremo 'robuste' non c'è bisogno di difendere la libertà di stampa, perché a nessuno viene in mente di limitarla.

Questa la prima ragione del mio scetticismo, da cui discende un corollario. Il problema italiano non è Silvio Berlusconi. La storia (vorrei dire da Catilina in avanti) è stata ricca di uomini avventurosi, non privi di carisma, con scarso senso dello Stato ma senso altissimo dei propri interessi, che hanno desiderato instaurare un potere personale, scavalcando parlamenti, magistrature e costituzioni, distribuendo favori ai propri cortigiani e (talora) alle proprie cortigiane, identificando il proprio piacere con l'interesse della comunità. È che non sempre questi uomini hanno conquistato il potere a cui aspiravano, perché la società non glielo ha permesso. Quando la società glielo ha permesso, perché prendersela con questi uomini e non con la società che li ha lasciati fare?

Ricorderò sempre una storia che raccontava mia mamma che, ventenne, aveva trovato un bell'impiego come segretaria e dattilografa di un onorevole liberale - e dico liberale. Il giorno dopo la salita di Mussolini al potere quest'uomo aveva detto: "Ma in fondo, con la situazione in cui si trovava l'Italia, forse quest'Uomo troverà il modo di rimettere un po' d'ordine". Ecco, a instaurare il fascismo non è stata l'energia di Mussolini (occasione e pretesto) ma l'indulgenza e la rilassatezza di quell'onorevole liberale (rappresentante esemplare di un Paese in crisi).


E quindi è inutile prendersela con Berlusconi che fa, per così dire, il proprio mestiere. È la maggioranza degli italiani che ha accettato il conflitto di interessi, che accetta le ronde, che accetta il lodo Alfano, e che ora avrebbe accettato abbastanza tranquillamente - se il presidente della Repubblica non avesse alzato un sopracciglio - la mordacchia messa (per ora sperimentalmente) alla stampa. La stessa nazione accetterebbe senza esitazione, e anzi con una certa maliziosa complicità, che Berlusconi andasse a veline, se ora non intervenisse a turbare la pubblica coscienza una cauta censura della Chiesa - che sarà però ben presto superata perché è da quel dì che gli italiani, e i buoni cristiani in genere, vanno a mignotte anche se il parroco dice che non si dovrebbe.

Allora perché dedicare a questi allarmi un numero de 'L'espresso' se sappiamo che esso arriverà a chi di questi rischi della democrazia è già convinto, ma non sarà letto da chi è disposto ad accettarli purché non gli manchi la sua quota di Grande Fratello - e di molte vicende politico-sessuali sa in fondo pochissimo, perché una informazione in gran parte sotto controllo non gliene parla neppure?

Già, perché farlo? Il perché è molto semplice. Nel 1931 il fascismo aveva imposto ai professori universitari, che erano allora 1.200, un giuramento di fedeltà al regime. Solo 12 (1 per cento) rifiutarono e persero il posto. Alcuni dicono 14, ma questo ci conferma quanto il fenomeno sia all'epoca passato inosservato lasciando memorie vaghe. Tanti altri, che poi sarebbero stati personaggi eminenti dell'antifascismo postbellico, consigliati persino da Palmiro Togliatti o da Benedetto Croce, giurarono, per poter continuare a diffondere il loro insegnamento. Forse i 1.188 che sono rimasti avevano ragione loro, per ragioni diverse e tutte onorevoli. Però quei 12 che hanno detto di no hanno salvato l'onore dell'Università e in definitiva l'onore del Paese.

Ecco perché bisogna talora dire di no anche se, pessimisticamente, si sa che non servirà a niente.

Almeno che un giorno si possa dire che lo si è detto
(09 luglio 2009)
 
 
 

Sunday, July 05, 2009

Arriva Notorious, il film sul rapper killer in smoking blu e 4 proiettili

ROMA - Il rapper più famoso del mondo, Christopher Wallace, meglio conosciuto come Notorious B. I. G. è appena uscito da una festa organizzata a Los Angeles dalla rivista Vibe. Ha un fisico imponente, la faccia da duro, sempre oscurata da un paio di occhiali nerissimi e una scoppola bianca a coprire la fronte. È seduto come un imperatore nel retro della sua Chevrolet Suburban, un massiccio Suv di colore azzurro, quando viene affiancato da un'automobile nera. Il finestrino si abbassa e il conducente in smoking blu gli spara nello stomaco quattro proiettili. Finisce così la breve, incredibile storia di un ragazzo cresciuto nelle strade malfamate di Brooklyn, ex spacciatore, finito in carcere, poi redento, si fa per dire, dal suo stupefacente talento nel verseggiare rap e diventato con un solo disco all'attivo il re della nuova musica afroamericana. Era il 9 marzo del 1997 e Notorious B. I. G. non aveva compiuto ancora 25 anni.

Così inizia e finisce Notorious, il tanto atteso biopic dedicato a una delle più controverse figure della musica contemporanea. Il film, che verrà presentato in anteprima all'Ischia Global Fest il 14, sarà nelle sale a partire dal 18 luglio. Con un solo disco (il secondo è uscito postumo, pochi giorni dopo la morte, con l'inquietante e beffardo titolo di Life after death) Biggie Small altro suo soprannome, aveva ipnotizzato il mondo musicale con le sue dirompenti e geniali rime rap. Era un rapper imbattibile, addestrato alla dura scuola della strada, tra scontri di bande rivali e fumosi locali dove per emergere (per non dire sopravvivere) bisognava essere i più bravi, in un eterno duello di ritmi e parole che bruciavano come il fuoco, irridenti, sfrontate, vere come la vita dei ghetti urbani. Ed è la parte più coinvolgente del film diretto da George Tillman Jr, e fortemente voluto dalla madre del rapper (nel film interpretata da Angela Bassett) col vero figlio di Notorious, Christopher Jordan Wallace che interpreta il padre da ragazzo. La trama cerca di rendere giustizia al mito e anche alle tante e mai sopite polemiche che lo hanno accompagnato nella sua breve folgorante vita. Chi lo ha ucciso e perché?

Molti hanno spiegato l'omicidio come risultato della violenta faida che nella seconda metà degli anni Novanta oppose i rapper della West Coast a quelli della East Coast. Da una parte Dr. Dre, Snoopy Dog e Tupac Shakur, dall'altra l'astro nascente Notorious, la cui storia sembra il più classico degli american dream, dal carcere all'olimpo delle star, quasi senza passaggi intermedi. La faida più violenta era proprio quella tra lui e Tupac il quale a un certo punto aveva osato raccontare in un pezzo di essersela spassata addirittura con la moglie di Notorious. L'onta fu terribile, e quando Tupac fu assassinato, altro delitto tuttora irrisolto, i sospetti ricaddero immediatamente sul rapper di Brooklyn.

Il film, ovviamente innocentista, scagiona completamente Notorious, ma potrebbe essere comunque la chiave che ha portato sulla sua strada il misterioso killer in smoking blu. Quattro pallottole che hanno spezzato la vita dell'ultimo dei grandi imperatori della musica.


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Friday, June 26, 2009

Su Berlusconi le pressioni del Times e l'ironia della Bbc

 

 

di Elysa Fazzino

Il Times non si perde una battuta del fogliettone italiano e oggi punta l'attenzione sulle critiche della Chiesa. «Vescovo cattolico chiede a Berlusconi di dimettersi», titola il quotidiano britannico, riferendo le parole di monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo, secondo cui Berlusconi «dovrebbe valutare se sia opportuno dimettersi nell'interesse del Paese».

«E' la prima volta» che un alto esponente della Chiesa ha fatto un appello del genere, scrive il corrispondente Richard Owen, «rafforzando la crescente sensazione che la crisi sul Primo ministro italiano sia fuori controllo».
Il premier è stato ulteriormente criticato dalla Chiesa – scrive il Times - quando il cardinale di Genova Angelo Bagnasco, capo della Conferenza episcopale Italiana, ha messo in guardia contro il cuore dell'uomo che può diventare «ebbro della sua smania di grandezza, che rasenta spesso l'illusione di onnipotenza… e distorcere i valori morali».

La petizione che chiede alle mogli dei leader del G8 di boicottare il vertice ha raggiunto quasi 7.000 firme, puntualizza il Times, che descrive un Berlusconi in atteggiamento di sfida durante la sua visita a L'Aquila.
Un altro servizio è dedicato alla cronaca dello scandalo, con le ultime dichiarazioni al quotidiano La Repubblica: «Escort Patrizia D'Addario dice che la festa di Berlusconi era "come un harem"». L'inviata del Times a Bari, Lucy Bannerman, osserva che Berlusconi «affronta crescenti pressioni a confessare tutto sulla sua vita privata».

La Bbc fa dell'humour e inserisce la vicenda Berlusconi nel quiz settimanale sulle notizie di cronaca proposto ai lettori. «In che modo Berlusconi ha negato di avere pagato per il sesso? ». Il quesito della Bbc è a risposta multipla: Berlusconi ha detto: «"Non ho mai capito che soddisfazione ci sia se non c'è il piacere …" di che cosa?»

A)del flirt
B)della conquista
C)dell'amore

Com'è nel suo stile il Daily Mail non va per la leggera: «Può il signor Squallido cadere più in basso? » è il titolo di un commento dove si dice che al confronto Bill Clinton sembra un boy scout con cotte da scolaretto.

Gli ultimi sviluppi di cronaca sono sulla homepage del sito di El Pais, che mette online il video dell'Espresso di una festa in casa di Berlusconi e l'intervista (tradotta) di Patrizia D'Addario a La Repubblica. Il titolo della corrispondenza di Miguel Mora: «Un incendio distrugge l'auto di una testimone chiave contro Berlusconi». El Mundo titola sul premier: «Berlusconi: io non cambio, gli italiani mi amano così». Abc: «Berlusconi promette ballerine agli operai de L'Aquila».

Tra i siti francesi, il Nouvel Observateur ha in richiamo sulla homepage: «Una prostituta rilancia l'affaire». Libération si concentra sull'appello al boicottaggio del G8 rivolto alle first ladies: «Quello che vogliono le donne: boicottare Berlusconi».

26 giugno 2009
 

Ft: "Berlusconi scaricato dagli alleati". Economist: "Al G8 rideranno di lui"

LONDRA - Circondato dai malumori di chi gli è vicino. E accompagnato da una scarsa credibilità all'estero. Arrivano da Financial Times ed Economist le due ultime bordate contro Silvio Berlusconi. Che parlano di "alleati" del premier pronti ad immaginare un futuro senza di lui e della poca credibilità del Cavaliere all'estero.

Financial Times. "Non siamo ancora al fuggi fuggi, ma importanti alleati di Silvio Berlusconi nella coalizione di governo stanno già contemplando un futuro senza di lui". E' uno scoop che in Italia varrebbe la prima pagina, quello che il Financial Times pubblica stamane, dedicando una pagina intera (la nona) al tema "il futuro di Berlusconi". Parlando con "alte fonti governative" a Roma, il quotidiano finanziario londinese raccoglie un messaggio che a quanto pare qualcuno, dall'interno del centro destra, ha deciso sia tempo di far diventare pubblico, scegliendo come megafono il giornale universalmente riconosciuto come il più autorevole e imparziale d'Europa.

"Sussurri spaventano la coalizione italiana", s'intitola la news analysis di Guy Dinmore. "Fedeli sostenitori di Silvio Berlusconi negano che si sarà un "fuggi fuggi" (in italiano nel testo originale) come conseguenza degli scandali che circondano la sua vita privata, ma importanti alleati nella coalizione di centro destra italiana stanno già contemplando un futuro politico senza il loro leader". Parlando con il Ft a condizione di mantenere l'anonimato, queste "alte fonti di governo" premettono di non credere che il 72enne presidente del Consiglio si dimetterà "presto". Eppure "ministri chiave" stanno iniziando a "posizionarsi" per l'eventualità che rivelazioni più dannose lo inducano a dimettersi. "Questo è uno scenario completamente nuovo, il panorama sta mutando", dice al quotidiano della City una delle fonti governative.

Un'altra fonte, definita "un collaboratore" di Berlusconi, dice che il governo teme che i magistrati annunceranno l'apertura di un'indagine giudiziaria formale nei confronti del premier proprio mentre egli ospiterà in Italia i leader mondiali per il summit del G8 del mese prossimo. "Paralleli vengono tracciati", osserva il FT, con il 1994, quando un tribunale inoltrò una comunicazione giudiziaria per corruzione a Berlusconi mentre il premier, all'epoca nel suo primo mandato, ospitava una conferenza internazionale sulla lotta alla criminalità: "il suo governo", ricorda il giornale, "cadde un mese più tardi, quando la Lega Nord uscì dalla coalizione".

L'articolo aggiunge che vari ministri hanno paura che le affermazioni di Patrizia D'Addario, la escort che afferma di essere andato a letto con Berlusconi a Palazzo Grazioli la notte dell'elezione di Obama, quando dice di avere foto e registrazioni del suo incontro con il premier, "si rivelino vere e dannose", o che le accuse che riguardano Giampolo Tarantini, l'imprenditore pugliese che accompagnò la D'Addario da Berlusconi, "si allarghino".

La "dinamica è cambiata", dicono le stesse fonti al FT. Primo, "c'è la sensazione che l'ambizione di Berlusconi di diventare presidente della repubblica al termine del suo mandato da primo ministro sia stata infranta". Secondo, "le elezioni europee hano dimostrato che gli elettori si stanno allontanando" dal Pdl. Infine, "l'immagine internazionale dell'Italia è peggiorata" e la Chiesa cattolica sta cominciando a "fare pressioni". Nonostante la sua reputazione di anfitrione miliardario che vizia gli amici con doni e fantastiche feste, gli alleati di Berlusconi "lo descrivono come un uomo isolato, con nessuno che si azzarda a dargli consigli". Il quotidiano londinese coglie una certa "malinconia" nell'intervista rilasciata dal premier al settimanale di sua proprietà "Chi", quando ricorda che nell'ultimo anno ha perso la madre e la sorella, oltre a sua moglie per il divorzio.

L'articolo si conclude con una suddivisione degli schieramenti all'interno del governo. I ministri la cui sopravvivenza politica dipende da Berlusconi sono i più accesi nel difenderlo: come Maurizio Sacconi (Lavoro), Claudio Scajola (Sviluppo Economico), Franco Frattini (Esteri). Le donne, incluse Maria Carfagna (Pari Opportunità) e Stefania Prestigiacomo (Ambiente), gli sono fedeli, ma nelle "attuali circostanze", ovvero nel mezzo di uno scandalo a base di call-girls e incontri con minorenni, "sono a disagio a parlare" in sua difesa. "Poi ci sono figure chiave che sono rimaste per lo più in silenzio, vedendo un futuro oltre Berlusconi, con la speranza che una successione sia ordinata". Gianni Letta, scrive il FT, sta già facendo di fatto le funzioni di primo ministro. Giulio Tremonti, il ministro delle Finanze, ha il vantaggio di stretti legami con la Lega Nord.

Ma le fonti interpellate dal quotidiano della City notano un serio ostacolo alle dimissioni del premier, a parte la sua ostinazione personale: l'immunità dalle incirminazioni, varata dalla sua larga maggioranza in parlamento, "dura solo fino a quando lui rimane in carica".

Un secondo articolo, sempre sul Financial Times, firmato da James Blitz, ex-corrispondente da Roma e ora corrispondente diplomatico, osserva che la questione critica per i governi occidentali non è tanto che Berlusconi si stia "gravemente danneggiando" a causa dei suoi legami con "modelle e starlette", non è quello che egli fa nella sua vita privata, ma se può aiutarli a risolvere i pressanti problemi con cui si confrontano gli Usa e l'Unione Europea. Per Barack Obama, Berlusconi è un leader con cui "è necessario mettersi d'accordo", e il FT cita l'impegno militare italiano in Afghanistan e la recente decisione del premier di accettare nel nostro paese alcuni detenuti di Guantanamo a testimonianza dell'importanza che l'Italia ha per Washington. "Ma Obama è chiaramente meno preso da Berlusconi di quanto fosse George W. Bush", prosegue l'articolo, rilevando come il presidente americano abbia incontrato vari leader nel suo tour europeo in aprile, ma non il premier italiano.

La minore influenza di Berlusconi sull'America "non è interamente colpa sua", afferma una fonte diplomatica consultata da Blitz: oggi in Francia e in Germania ci sono governi più pro-americani rispetto a due anni fa, e dunque gli Usa hanno meno bisogno del sostegno italiano. In più, ci sono azioni intraprese da Berlusconi che lo hanno reso "un alleato difficile". Una è la sua decisione di firmare un accordo con la Russia per portare il gas in Europa, in competizione con un gasdotto occidentale che passerà dal'Asia Centrale. "Il sostegno di Berlusconi per Putin su questo causa molta rabbia a Washington e Bruxelles" dice un diplomatico della Ue. Altri aspetti dello stile di Berlusconi che irritano gli Usa e la Ue sono "la sua ossessione di poter essere un mediatore tra Obama e il suo amico Putin" e il tentativo di stabilire un dialogo autonomo con l'Iran. Non ultima, la sua decisione di tenere il summit del G8 all'Aquila "sta provocando nervosismo" nelle capitali mondiali. Riassume il Ft nel titolo: pur alleato indispensabile, Berlusconi "sta mettendo alla prova la pazienza di Usa e Ue".

Il Times. Un altro articolo di rilievo appare oggi sulla stampa britannica: una news analysis di Richard Owen, il corrispondente da Roma, sul Times, che commenta il "grande vantaggio" di cui Berlusconi dispone come proprietario e controllore politico dei media, in particolare televisivi. "Se Berlusconi dovesse dimettersi domani", comincia l'articolo, "la grande maggioranza degli italiani che ricevono le informazioni solo dalla tivù ne saprebbero poco o nulla". Owen riporta il fatto, di cui l'opinione pubblica britannica e mondiale non sono perfettamente a conoscenza, che Berlusconi possiede i tre canali televisivi di Mediaset e controlla la maggior parte dell'informazione televisiva della Rai in quanto capo della coalizione di governo.

L'analisi del Times nota che il Tg1, "il principale telegiornale Rai", ha ignorato o dato un basso profilo alle notizie sullo scandalo che riguarda il premier, e riferisce le critiche espresse dal presidente della Rai, Paolo Garimberti, ad Augusto Minzolini, direttore del Tg1, "per avere mancato di dare ai telespettatori l'informazione completa e trasparente che è richiesta al servizio pubblico".

Tra gli articoli sul caso Berlusconi pubblicati da altri giornali britannici, spicca poi la vignetta del Sun: un parcheggio pieno di limousine per il summit del G8, ciascuna con una bandierina della nazione che rappresenta sul cofano quella italiana è letteralmente ricoperta di giovani ragazze maggiorate e seminude, che lavano la macchina brindando con calici di champagne.

L'Economist in edicola domani pubblica due articoli sul caso, più una replica del sottosegretario Bonaiuti. A quanto scrive l'Ansa, nell'articolo intitolato "Un conquistatore, non un utilizzatore finale", l'Economist si occupa degli ultimi sviluppi dell'inchiesta di Bari e scrive tra l'altro: "Gli italiani sono stati tenuti perlopiù all'oscuro sull'inchiesta di Bari, che è stata menzionata solo brevemente e in maniera obliqua sulle principali reti televisive".

Ricordando poi i paragoni fatti da Famiglia Cristiana con quanto avverrebbe in situazioni analoghe in altri paesi, il settimanale sottolinea: "Berlusconi è un uomo risoluto. Paragoni con altri paesi non serviranno a fargli cambiare idea. E nemmeno le richieste di dimissioni avranno eco tra i politici del suo partito: devono a lui la loro posizione. Berlusconi non ha mai avuto grande credito nei circoli internazionali. I suoi ultimi problemi susciteranno una risata tra i suoi ospiti al vertice G8 il mese prossimo. Ma è improbabile che si dimetta o che sia mandato via".

Il secondo articolo pubblicato dal settimanale economico è dedicato alla situazione finanziaria di Fininvest, definita particolarmente vulnerabile alla crisi.

Dalla Spagna agli States. L'attenzione è costante su tutta la stampa europea. El Mundo titola: La perdizione di Berlusconi. Un articolo in cui vengono ripropoposte le varie tappe della vicenda, con citazioni molto ampie dell'intervista a Patrizia D'Addario.

E la Cnn ha dedicato a Berlusconi un lungo servizio. "Ci sono abbastanza ragioni per dimettersi".


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Wednesday, June 24, 2009

La verità che non può dire

di GIUSEPPE D'AVANZO

Berlusconi esige da noi, per principio e diritto divino, come se davvero fosse "unto dal Signore", la passiva accettazione dei suoi discorsi. Pretende che non ci siano repliche o rilievi alle sue parole. Reclama per sé il monopolio di un'apparenza che si cucina in casa con i cuochi di famiglia. Senza contraddittorio, senza una domanda, senza un'increspatura, senza la solidità dei fatti da lui addirittura non contraddetti, senza un estraneo nei dintorni. Vuole solo famigli e salariati. Con loro, il Cavaliere frantuma la realtà degradata che vive. La rimonta come gli piace a mano libera e ce la consegna pulita e illuminata bene. A noi tocca soltanto diventare spettatori - plaudenti - della sua performance. Berlusconi ci deve immaginare così rincitrulliti da illuderci di poter capire qualcosa di quel che accade (è accaduto) non servendoci di ciò che sappiamo, ma credendo a ciò che egli ci rivela dopo aver confuso e oscurato quel che già conosciamo. Quindi, via ogni fatto accertato o da lui confessato; via le testimonianze scomode; via documenti visivi; via i giornalisti impiccioni e ostinati che possono ricordarglieli; via anche l'anchorman gregario e quindi preferito; via addirittura la televisione canaglia che da una smorfia può rivelare uno stato d'animo e una debolezza.

Berlusconi, che pare aver smarrito il suo grandioso senso di sé, si rimpannuccia sul divano di casa affidandosi alle calde cure del direttore di Chi. Insensibile alle contraddizioni, non si accorge dell'impudico paradosso: censurare i presunti pettegolezzi dalle colonne di un settimanale della sua Mondadori, specializzato in gossip. Dimentico di quanto poca fortuna gli abbia portato il titolo di Porta a Porta (5 maggio) "Adesso parlo io" (di Veronica e di Noemi), ci riprova. "Adesso parlo io" strilla la copertina di Chi. Il palinsesto è unico.

In un'atmosfera da caminetto, il premier ricompone la solita scena patinata da fotoromanzo a cui non crede più nessuno, neppure nel suo campo. La tavolozza del colore è sempre quella: una famiglia unita nel ricordo sempre vivo di mamma Rosa e nell'affetto dei figli; l'amore per Veronica ferito - certo - ma impossibile da cancellare; la foto con il nipotino; una vita irreprensibile che non impone discolpa; l'ingenuità di un uomo generoso e accogliente che non si è accorto della presenza accanto a lui, una notte, di una "squillo" di cui naturalmente non ha bisogno e non ha pagato perché da macho latino conserva ancora il "piacere della conquista".

Acconciata così la sua esistenza che il più benevolo oggi definisce al contrario "licenziosa", chi la racconta in altro modo non può essere che un "nemico". Da un'inimicizia brutale sono animati i giornali che, insultati ma non smentiti, raccontano quel che accade nelle residenze del presidente. Antagonisti malevoli, prevenuti o interessati sono quegli editori che non azzittiscono d'imperio le loro redazioni. C'è qualcosa di luciferino (o di vagamente folle) nella pretesa che l'opinione pubblica - pur manipolata da un'informazione servile - s'ingozzi con questo intruglio. Dimentico di governare un Paese occidentale, una società aperta, una democrazia (ancora) liberale, il capo del governo pare convinto che, ripetendo con l'insistenza di un disco rotto, la litania della sua esemplare "storia italiana" possa rianimare l'ormai esausta passione nazionale per l'infallibilità della sua persona. È persuaso che, mentendo, gli riesca di sollecitare ancora un odio radicale (nell'odio ritrova le energie smarrite e il consenso dei "fanatizzati") contro chi intravede e racconta e si interroga - nell'interesse pubblico - sui lati bui della sua vita che ne pregiudicano la reputazione di uomo di governo e, ampiamente, la sua affidabilità internazionale. Berlusconi sembra non voler comprendere quanto grave - per sé e per il Paese - sia la situazione in cui si è cacciato e ha cacciato la rispettabilità dell'Italia. Ha voluto convertire, con un tocco magico e prepotente, le "preferite" del suo harem in titolari della sovranità popolare trasformando il suo privato in pubblico. Non ha saputo ancora spiegare, dopo averlo fatto con parole bugiarde, la frequentazione di minorenni che ora passeggiano, minacciose, dinanzi al portone di Palazzo Chigi. Ha intrattenuto rapporti allegri con un uomo che, per business, ha trasformato le tangenti alla politica in meretricio per i politici. Il capo del governo deve ora fronteggiare i materiali fonici raccolti nella sua stanza da letto da una prostituta e le foto scattate da "ragazze-immagine", qualsiasi cosa significhi, nel suo bagno privato mentre ogni giorno propone il nome nuovo di una "squillo" che ha partecipato alle feste a Villa Certosa o a Palazzo Grazioli (che pressione danno a Berlusconi, oggi?).

La quieta scena familiare proposta da Chi difficilmente riuscirà a ridurre la consistenza di quel che, all'inizio di questa storia tragica, si è intravisto e nel prosieguo si è irrobustito: la febbre di Berlusconi, un'inclinazione psicopatologica, una sexual addiction sfogata in "spettacolini" affollati di prostitute, minorenni, "farfalline", "tartarughine", "bamboline" coccolate da "Papi" tra materassi extralarge nei palazzi del governo ornati dal tricolore. Una condizione (uno scandalo) che impone di chiedere, con la moglie, quale sia oggi lo stato di salute del presidente del Consiglio; quale sia la sua vulnerabilità politica; quanta sia l'insicurezza degli affari di Stato; quale sia la sua ricattabilità personale. Come possono responsabilmente, questi "buchi", essere liquidati come affari privati?

La riduzione a privacy di questo deficit di autorità e autorevolezza non consentirà a Berlusconi di tirarsi su dal burrone in cui è caduto da solo. Ipotizzare un "mandato retribuito" per la "escort" che ricorda gli incontri con il presidente a Palazzo Grazioli è una favola grottesca prima di essere malinconica (la D'Addario è stata prima intercettata e poi convocata come persona informata dei fatti). Evocare un "complotto" di questo giornale è soltanto un atto di intimidazione inaccettabile.

Ripetendo sempre gli stessi passi come un automa, lo stesso ritornello come un cantante che conosce una sola canzone, Berlusconi appare incapace di dire quelle parole di verità che lo toglierebbero d'impaccio. Non può dirle, come è sempre più chiaro. La sua vita, e chi ne è stato testimone, non gli consente di dirle. È questo il macigno che oggi il capo del governo si porta sulle spalle. Non riuscirà a liberarsene mentendo. Non sempre la menzogna è più plausibile della realtà. Soprattutto quando un Paese desidera e si aspetta di sentire la verità su chi (e da chi) lo governa.

(24 giugno 2009

http://www.repubblica.it/2009/06/sezioni/politica/berlusconi-divorzio-10/davanzo-24giu/davanzo-24giu.html

 

 

Tuesday, June 23, 2009

Cadorago: gente tosta!

 

Pensionato e direttore
sventano rapina alle Poste

 
 

Bulgorello: i carabinieri davanti all'ufficio postale

CADORAGO I capelli bianchi. Il fisico asciutto e atletico, a dispetto dell'età. E un senso della giustizia oltre la media. Capita a volte, anche se non spesso, che il ruolo di vittime stia stretto a chi è costretto a recitarlo, anche a dispetto di un'età anagrafica che mal si concilierebbe con un incontro di lotta con un malvivente. Eppure capita, a volte, che le vittime reagiscano. Mandando all'aria i piani di un rapinatore che, con ogni probabilità, sperava in un colpo facile facile, senza alcuna sorpresa. La sorpresa, ieri, invece c'è stata. E aveva il volto di un pensionato di Bulgorello e del 34enne direttore pro-tempore dell'ufficio postale di Bulgorello che Alessandro Fusco, 31enne di Fenegrò con un passato tempestoso e un presente non così sereno, aveva pensato di prendere di mira. Ma le cose, purtroppo per lui, sono andate in modo decisamente diverso.
Il tutto è avvenuto poco dopo l'apertura delle Poste di Bulgorello. All'interno un direttore, una dipendente e un paio di clienti sono ignari di ciò che da lì a pochi istanti sarebbe avvenuto. Cappellino con visiera in testa, pistola in mano (si scoprirà solo dopo che era una innocua scacciacani, a cui il bandito aveva tolto di tappo rosso) Alessandro Fusco fa irruzione con la classica frase: «Fermi, questa è una rapina». Il bandito, arraffato il denaro, ha cercato di fuggire ed è a questo punto che le vittime hanno deciso che quel ruolo stava loro stretto. E hanno reagito. Il direttore dell'ufficio postale e un cliente, un pensionato, si sono messi all'inseguimento del bandito e appena fuori dalla porta d'ingresso delle Poste lo hanno raggiunto e bloccato. Ne è nato un furioso parapiglia. Fusco, dopo essere stato immobilizzato, ha reagito con violenza prendendosela soprattutto con il 34enne direttore dell'ufficio, che infatti è stato anche soccorso da un'ambulanza del 118 e portato in ospedale, dove i medici gli hanno riscontrato ferite serie, comunque guaribili con una prognosi di 30 giorni. Ferito, ma in modo decisamente più lieve, anche il pensionato.

 

 

 

 

Robert Habeck on Israel and Antisemitism

https://www.youtube.com/watch?v=MdZvkkpJaVI&ab_channel=Bundesministeriumf%C3%BCrWirtschaftundKlimaschutz