Thursday, November 04, 2010

“Ci fa vergognare”

Archivio cartaceo | di Gianni Barbacetto

3 novembre 2010


Lo sfogo della scorta: non siamo Carabinieri per fare la guardia alle escort del premier. Ci fanno fare i tassisti per i festini, quando nostri colleghi sono morti per magistrati o politici

"Non ne possiamo più. Non siamo diventati carabinieri per fare la guardia alle escort del premier. Molti nostri colleghi sono morti mentre facevano la scorta a magistrati o politici che difendevano lo Stato. E noi, invece… È mai possibile essere ridotti cosi?". A parlare sono alcuni "ragazzi" dei servizi di scorta. Carabinieri allenati a difendere le "personalità" loro affidate fino a mettere a rischio la propria vita. "Ma qui ci fanno fare i tassisti dei festini. Per questo, dopo essere stati tanto zitti e obbedienti, ora vogliamo, a nostro rischio, far sentire la nostra voce". Cominciano i racconti, che si incrociano, si intrecciano e si sommano.

"Le feste ad Arcore si tengono nei giorni del fine settimana, dal venerdì al lunedì. Molte sono proprio di lunedì. Nell'estate si moltiplicano. Noi accompagniamo le personalità fino alla villa e poi aspettiamo fuori. Vediamo un giro di ragazze pazzesco. Arrivano con vari mezzi. Moltissimi Ncc, le auto a noleggio con conducente. Alcuni pulmini, di quelli da 10-15 posti. Una volta abbiamo visto alcune ragazze scendere da due fuoristrada di quelli massicci. Alcune ragazze le porta direttamente Emilio Fede nella sua auto, altre scendono dalla macchina di Lele Mora con targa del Canton Ticino".

"L'estate scorsa abbiamo visto molte feste alla villa di Arcore. Altre volte abbiamo accompagnato le nostre personalità in ristoranti di Milano, come 'da Giannino', in via Vittor Pisani, zona stazione Centrale. O in una casa privata di zona Venezia. Che ne sappiamo noi di che cosa succede là dentro? Ce li immaginiamo, magari fanno uso di droghe o infrangono la legge e ridono di noi, dicendo: noi siamo qua al sicuro, abbiamo anche i carabinieri che ci proteggono. E che gente c'è a quelle feste? Noi per arruolarci nell'Arma dobbiamo dimostrare di essere puliti per due generazioni, i nostri padri e i nostri nonni, e finiamo a far la guardia a gente che magari pulita non è".
"Sì, la scorsa estate ad Arcore c'era un gran via vai. Ruby? No, non me la ricordo, ma sa, sono tante, tutte uguali, tutte giovani… Abbiamo riconosciuto una giornalista. E Flo, quella che ha partecipato alla 'Pupa e il secchione'. Poi una bionda che era stata al Grande Fratello… Molte si capisce che sono straniere, tante hanno la cadenza napoletana. Poi alcune escono a fine festa, altre si fermano lì per la notte, ma è difficile tenere la contabilità, c'è un tale via vai…".

"Ci è capitato di fare missioni all'estero e di incontrare colleghi stranieri che fanno il nostro stesso lavoro: ci sfottono per questa storia delle feste, delle ragazze. Ma è mai possibile che dobbiamo vergognarci, noi che vorremmo lavorare per le istituzioni e difendere lo Stato? Abbiamo orari massacranti, turni di otto ore al giorno che spesso diventano dodici. Facciamo anche 120 ore di straordinario, ma ce ne pagano al massimo trenta, a 6 euro e mezzo all'ora, più un buono pasto da 7 euro. Va bene, non ci lamentiamo, è il nostro lavoro. Ma lo vorremmo fare per lo Stato, non per questa vergogna. Vorremmo proteggere le personalità delle istituzioni, non gente che ci fa vergognare davanti al mondo".
"Comunque non ci lamentiamo del nostro stipendio. Solo ci chiediamo se è giusto che una ragazza giovane e carina senz'altra esperienza politica prenda 15 mila euro al mese, perché è stata fatta diventare consigliere regionale. Il presidente? Con noi è gentile. Qualche volta è venuto a salutarci, a raccontaci qualche barzelletta. Una volta ci ha fatto, ammiccando, una battuta: 'Eh, beati voi che adesso andate a casa a dormire, a me invece tocca trombare'. Un'altra volta ci ha portato qualche ragazza e ce l'ha presentata. Una notte ci ha mandato una ragazza che ci ha fatto la danza del ventre…".

"A fine serata riportiamo le personalità a casa. Vediamo alcune ragazze uscire e tornare verso Milano, altre restano nella villa per la notte. Capita che dobbiamo scortare personalità che fanno il giro a riaccompagnare le ragazze nei residence milanesi, alla Torre Velasca o in corso Italia. L'ultima magari se la portano a casa. E noi dobbiamo accompagnare la nostra personalità fino alla porta dell'appartamento: è imbarazzante salire in ascensore con un signore anziano e una ragazzina. Pensiamo alle nostre figlie e diciamo che non ci piace questo mondo. Sarà moralismo, ma non ci piace".

Da il Fatto quotidiano del 3 novembre 2010
 
 

Wednesday, September 15, 2010

«Bordello Italia». Così secondo Foreign Policy il Belpaese è sceso all'inferno

 

Il suo appello – si legge su FP - era la difesa dell'economia di mercato e delle sue regole… «gli enormi conflitti d'interessi del primo ministro e miliardario italiano Silvio Berlusconi si sono fatti beffe di queste regole». Dopo una frecciata sulla sua vita privata – «le residenze del primo ministro sono diventate bordelli - e non solo metaforicamente» – Berlusconi viene bersagliato per la sua mancanza di leadership, evidente già a fine luglio, ma oggi ancora più palese: nell'ultima quindicina di giorni «la mancanza di direzione è diventata parossistica», scrive Walston. In sintesi, la situazione di politica interna: per quasi tutto agosto Berlusconi ha minacciato elezioni anticipate per tenere a bada Gianfranco Fini. Poi ha cominciato a fare marcia indietro quando i sondaggi hanno indicato che a vincere sarebbe stata la Lega Nord e che c'era una buona possibilità che il Pdl non avrebbe avuto la maggioranza in Senato. Così è tornato a parlare di "Grandi Riforme", la più controversa delle quali è quella della giustizia, «che per Berlusconi significa ottenere l'immunità dai procedimenti giudiziari».
Non va meglio in politica estera, «controproducente come la politica interna». Walston nota che in Russia il premier ha usato una conferenza del Cremlino per attaccare Fini e ha definito Vladimir Putin e Dmitry Medvedev «un dono di Dio alla democrazia» (una vignetta dell'Economist mostra il vero amore di Putin per la democrazia e la stampa, nota FP). «Ancora più imbarazzante» la notizia che una delle motovedette italiane donate alla Libia abbia mitragliato un peschereccio italiano.

 

Intanto «si moltiplicano le preoccupazioni» in casa propria. Il direttore de Il Giornale, Vittorio Feltri, ha criticato il premier per l'indecisione e la mancanza di leadership. Il suo tasso di popolarità è sceso al 37% e l'appoggio al Pdl sotto il 30%. Così, ha avviato il suo "shopping" per portare voti dalla sua parte. Un'impresa in cui - secondo FP - è molto ferrato. «Viste le sue risorse finanziarie e mediatiche, oltre ad altre forme di patrocinio politico, c'è poco che non possa offrire, come mostrano le recenti rivelazioni sulla cosiddetta P3». In proposito, Walston osserva che la maggior parte degli accusati "cantano come se fossero alla Scala", come "i topi che fuggono dalla nave che affonda".

Arriva la nota dolente dell'economia. «E' un peccato che Berlusconi sia così preoccupato della propria sopravvivenza, perché il suo paese è in grandi difficoltà». Secondo FP, il declino relativo dell'Italia è cominciato quasi 20 anni fa, ma «ogni anno le cifre della produzione vanno giù rispetto all'Europa, e ovviamente alla Cina e alle altre economie emergenti». Stando alle cifre Ocse, nel terzo trimestre il Pil italiano calerà dello 0,3%, facendone il solo paese del G7 con crescita negativa. Il World Economic Forum riconosce che una vera ripresa non è cominciata e mette l'Italia al 48.mo posto per competitività globale, subito dopo Lituania e Montenegro. La disoccupazione giovanile è salita a maggio al 29,2%. Non c'è ancora un ministro per lo Sviluppo economico. Gli insegnanti sono sul piede di guerra per i tagli e così anche la polizia. "Ci sono un sacco di veri problemi, ma l'Italia è una nave senza nocchiero".

L'Italia è di nuovo "serva" come lamentò Dante? È davvero "un bordello"? FP cita il libro di uno studioso di Princeton che dà una riposta affermativa: in "La libertà dei servi", Maurizio Viroli sostiene che l'Italia è riuscita «nell'esperimento politico di trasformare, senza violenza, una repubblica democratica in una corte che ha al suo centro un signore feudale circondato da cortigiani ammirati e invidiati da una moltitudine di gente con spirito servile». Perfino Federico Confalonieri, suo migliore amico, ricorda Walston, aveva descritto Berlusconi come "un despota illuminato". Mancava solo la polemica sull'accusa lanciata ad alcune deputate di essersi prostituite per avere un seggio in Parlamento. Morale di FP: «Il problema non è che alcune donne approdino in Parlamento attraverso la camera da letto; è che uomini e donne, giornalisti e professionisti, abbiano ceduto, più che il loro corpo, la loro mente e i loro principi». La conclusione richiama di nuovo Dante: "Lo stato è sceso all'Inferno".

 

 

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2010-09-15/bordello-italia-foreign-policy-132320.shtml?uuid=AY7dX9PC

Thursday, September 09, 2010

L’ambiguità del senatore che elogia ancora Sindona e non l’avvocato eroe

 

«Ambrosoli conosceva i rischi. Alla moglie scrisse: dovrai crescere tu i ragazzi nel rispetto verso il Paese»

L'ambiguità del senatore che elogia ancora Sindona e non l'avvocato eroe

«Ambrosoli conosceva i rischi. Alla moglie scrisse: dovrai crescere tu i ragazzi nel rispetto verso il Paese»

Giorgio Ambrosoli non è stato dimenticato. Trentun anni dopo il suo assassinio nel centro di Milano, vicino alla basilica di San Vittore, le ragioni della memoria di quel che accadde —un uomo che si fa uccidere nel nome dell'onestà— sono rimaste intatte.

Una contraddizione in un tempo come il nostro dove la corruzione diffusa impedisce lo sviluppo, dove la violenza dei poteri criminali è pressante, dove la politica ha perso spesso il rispetto di se stessa. Ma questo panorama intristito del paese non ha impedito che negli anni strade, piazze, scuole, biblioteche, aule universitarie siano state dedicate a Giorgio Ambrosoli. Il suo nome è diventato infatti un modello morale e civile.

Stasera alle 23,50 su Raidue, la puntata della «Storia siamo noi» di Giovanni Minoli è dedicata all'avvocato di Milano ucciso l'11 luglio 1979 da un killer venuto dagli Stati Uniti su mandato del finanziere Michele Sindona. Il documentario, «Qualunque cosa succeda. Storia di Giorgio Ambrosoli» di Alberto Puoti, prende il titolo dal libro di Umberto Ambrosoli, il figlio dell'avvocato, uscito nel giugno dello scorso anno, che ripercorre, con dolorosa sobrietà, la vita e la morte del padre. E' un programma serrato, questo della TV, ricco di emozioni, assai bello, se l'aggettivo si addice a una materia così straziante. I personaggi, Ambrosoli soprattutto, e con lui la moglie Annalori, il figlio Umberto, gli amici, i nemici, ministri, generali, banchieri, il presidente del Consiglio, si muovono su sfondi color del piombo - la giungla delle banche, delle società, delle finanziarie, lo Ior vaticano - tra Milano, Roma, New York, la Svizzera e Ghiffa, sul lago Maggiore, dove l'avvocato possedeva una casa, contrappunto sereno alla cupa realtà.

Che cosa rappresenta oggi la vicenda Ambrosoli, qual è la novità dopo tanto scandagliare, che insegnamento se ne può trarre?

C'è nel documentario una risposta di Giulio Andreotti a una domanda di Alberto Puoti, che fa sobbalzare chi cinico non è, disabituato alle pillole presidenziali di ambigua saggezza. «Perché Ambrosoli è stato ucciso?» domanda il giornalista. «Questo è difficile, non voglio sostituirmi alla polizia e ai giudici, certo è una persona che in termini romaneschi se l'andava cercando».

Soltanto un caso di ordinaria imprudenza, quindi, un episodio da film all'italiana. Lo statista, il sette volte presidente del Consiglio, non fu prosciolto, al processo davanti alla Corte d'appello di Palermo nel 2003: il reato di associazione per delinquere fino alla primavera del 1980 fu semplicemente estinto per prescrizione, giudizio confermato dalla sentenza definitiva di legittimità della Corte di Cassazione, il 15 ottobre 2004.

Erano proprio quelli gli anni dell'affaire Ambrosoli. Andreotti, allora presidente del Consiglio, ne parla sereno, e pensare che doveva averne multiformi saperi.

Anche oggi non smentisce la sua empatia per il bancarottiere definito in passato «il salvatore della lira »: «Dette—conferma—un allarme per quelli che erano i pericoli del sistema finanziario internazionale che nell'immediato pochi compresero. Ma poi si è visto quanto fosse tempestivo».

E' benevolo Andreotti, seguita a fornire a Sindona le sue ambite referenze: «Il fatto che si occupasse sul piano internazionale dimostrava una competenza economico finanziaria che gli dava in mano una carta che altri non avevano. Se non c'erano motivi di ostilità, non si poteva che parlarne bene. Io cercavo di vedere con obiettività, non sono mai stato sindoniano, non ho mai creduto che fosse il diavolo in persona».

Com'è diverso il ritratto di Carlo Azeglio Ciampi, nell'anima e nello stile: «Ambrosoli era il cittadino italiano al servizio dello Stato che fa con normalità e semplicità il suo compito e il suo dovere».

E come piena di nostalgia e di rispetto la memoria di John J. Kenney, il procuratore di New York, che da Ambrosoli ebbe un prezioso aiuto, fonti, prove, documenti, durante l'inchiesta sulla Franklin National Bank, la banca americana di Sindona che segnò l'inizio della sua fine.

L'avvocato di Milano non riusciva a nascondere il suo stupore, lo si capisce leggendo i suoi diari e le sue agendine, di fronte alle rivelazioni continue dei tradimenti, delle trame, delle connivenze che avevano per protagonisti uomini di alto rango dello Stato. Avrebbero dovuto essere naturalmente dalla sua parte, pubblico ufficiale con il compito di sanare una situazione degenerata, protetta dal sistema politico di governo, e invece erano nemici che intralciavano in tutti i possibili modi quel che tentava di fare in nome della comunità condannata, per il malfare del banchiere corrotto, a pagare l'equivalente di 800 milioni di euro di oggi.

Ambrosoli era stato sottovalutato da Sindona e dal suo entourage. E' invece un giovane avvocato intelligente, non soltanto onesto. Appena entra nella banca di Sindona capisce subito com'è potente e inquinato quel mondo protetto dalla Chiesa romana, dalla massoneria, dalla DC. Con la mafia che fa anche da mano armata. Si saprà soltanto dopo il 1981, quando furono scoperte le carte di Gelli a Castiglion Fibocchi, che era stata la P2 a guidare tutte le manovre per salvare Sindona.

Giorgio Ambrosoli è solo, o quasi. Ugo La Malfa è l'unico uomo politico che si prende a cuore quella verminosa storia nazionale e gli dà aiuto come può. Pochi amici gli fanno da consulenti, il maresciallo della Guardia di finanza Silvio Novembre gli fa persino da guardia del corpo, nell'assenza di ogni protezione da parte dello Stato, nonostante le minacce mortali. E sono poi, con lui, uomini della Banca d'Italia, Paolo Baffi, il governatore, eMario Sarcinelli, che finisce persino in prigione.

E' ben cosciente, Ambrosoli, di quel che fa—altro che «andarsela a cercare». Basta leggere la lettera scritta alla moglie il 25 febbraio 1975, solo un anno dopo la sua nomina. Un testamento: «Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto (...). Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il Paese, si chiami Italia o si chiami Europa ».

Corrado Stajano
09 settembre 2010

 

 

 

http://www.corriere.it/politica/10_settembre_09/stajano-andreotti-ambiguo-elogia-sindona-non-avvocato-ambrosoli_e088f23c-bbd4-11df-8260-00144f02aabe.shtml

«Ambrosoli? Se l'andava cercando»

 

La frase choc di Andreotti in tv sul legale ucciso nel centro di Milano nel '79

Stasera su Raidue alle 23,50 in onda la puntata di «La storia siamo noi» sull'omicidio

«Ambrosoli? Se l'andava cercando»

La frase choc di Andreotti in tv sul legale ucciso nel centro di Milano nel '79

Il bancarottiere Michele Sindona
Il bancarottiere Michele Sindona
MILANO - Giulio Andreotti ha il colletto un po' aperto e il nodo della cravatta è allentato. Ma come sempre il senatore a vita non tradisce emozioni particolari. Le labbra sottili sembrano muoversi impercettibilmente e gli occhi non cambiano espressione quando, alla domanda su perché Giorgio Ambrosoli è stato ucciso, risponde così: «Questo è difficile, non voglio sostituirmi alla polizia o ai giudici, certo è una persona che in termini romaneschi se l'andava cercando». Una frase che sembra buttata lì senza pensarci troppo, ma quelle parole che colpiscono al cuore rappresentano forse il momento più importante e doloroso della puntata de «La storia siamo noi» che Giovanni Minoli ha dedicato ad Ambrosoli, il liquidatore dell'impero di Michele Sindona, e che andrà in onda stasera alle 23,50 su RaiDue. Più importante perché appare l'ennesima e più chiara manifestazione del fatto che Andreotti nello scontro fra Ambrosoli e il bancarottiere Sindona, da lui salutato come il «salvatore della lira», ha saputo per chi schierarsi fin dal primo momento.

E più dolorosa perché tutti, compreso lui, sa poi cosa alla fine Ambrosoli abbia trovato nella notte dell'11 luglio 1979. Dopo una cena in trattoria e durante l'ultima ripresa dell'incontro di box che Ambrosoli segue in compagnia, arriva una telefonata: dall'altra parte c'è il silenzio. Poco dopo lui scende ad accompagnare gli amici, e mentre sta rincasando il killer Joseph Arico gli dice: «Mi scusi, avvocato Ambrosoli». E spara 4 colpi, portando a termine la missione che gli ha affidato Sindona per 50 mila dollari. Minoli racconta tutto, anche riprendendo dai suoi archivi una intervista a Sindona, in carcere in America per bancarotta. Ne illustra soprattutto l'ascesa dal nulla e ne spiega il «contesto». Gli anni ruggenti nei quali sorprende la provinciale piazza finanziaria milanese con operazioni «all'americana»: Opa, conglomerate, perfino il private equity. «Importa» tutto da Wall Street e sembra che nessuno possa fermare la sua irresistibile ascesa. Nonostante i suoi rapporti quasi esibiti con il clan Gambino e con altre famiglie mafiosi. Ma gli anni ruggenti durano poco. L'Opa sulla finanziaria Bastogi nel '71 segna il suo tramonto. L'opposizione di Enrico Cuccia, fondatore di Mediobanca, fa fallire l'operazione.

E dopo il crollo in America la crisi dilaga nel suo fragile impero in Italia, finché la sera di martedì 24 settembre 1974 alle 23 un funzionario di Banca d'Italia telefona a casa Ambrosoli. Alle 17 del giorno dopo il Governatore Guido Carli conferisce a Giorgio Ambrosoli l'incarico di «unico commissario liquidatore», come dirà lui stesso alla moglie Annalori, della Banca Privata Italiana di Sindona. Ambrosoli fa il suo dovere fino in fondo, con l'aiuto di Silvio Novembre, ufficiale della Guardia di Finanza. Ma come testimoniano i suoi diari e quelli del Governatore Paolo Baffi «mezza Italia» si muove per salvare Sindona. Ambrosoli, Baffi e il vicedirettore generale Mario Sarcinelli fanno muro. Baffi e Sarcinelli, che respingono improbabili piani di salvataggio presentati loro anche da Franco Evangelisti, braccio destro di Andreotti, e svelano con ispezioni e rapporti le trame di Roberto Calvi, pagheranno carissima onestà e determinazione: Sarcinelli viene arrestato e a Baffi è risparmiato il carcere solo per l'età. Saranno poi prosciolti ma Baffi lascerà Via Nazionale. Le minacce e la violenza di Sindona e dell'Italia piduista non fermano Ambrosoli. Perciò il sicario venuto dall'America lo uccide. Nella lettera-testamento alla moglie scrive il 25 febbraio 1975: «In ogni caso pagherò a caro prezzo l'incarico». E pensare che, come ha detto il figlio Umberto: «Sarebbe bastato un piccolo sì, qualche piccola omissione, non prendere posizione. Avrebbe avuta salva la vita». Ma Andreotti non ha dubbi: l'avvocato liquidatore se l'è proprio andata a cercare.

Sergio Bocconi
09 settembre 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA

Robert Habeck on Israel and Antisemitism

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