Tuesday, October 02, 2018

La partita pericolosa sull’euro

https://www.corriere.it/opinioni/18_settembre_29/i-pericoli-costi-ec47480e-c41c-11e8-af74-9a32bd2d1376.shtml


La strategia del governo non sembra in realtà quella di fare la rivoluzione, ma al contrario soltanto quella di prendere tempo. Tempo necessario a consolidare consensi in vista delle elezioni europee e dei prossimi appuntamenti elettorali mentre si rende l’economia italiana progressivamente meno dipendente dagli investitori esteri

La partita pericolosa sull’euro
La manovra approvata dal governo costituisce un’aperta sfida all’Europa. I giallo-verdi spiegano che la loro responsabilità è innanzitutto nei confronti degli italiani, mettendo quindi in contrapposizione gli interessi di questi ultimi a quelli europei: una retorica martellante che ha prodotto la convinzione di molti secondo cui l’Europa sarebbe in realtà un nemico le cui regole sono state disegnate per sostenere gli interessi tedeschi, contro di noi. Immagino che il governo abbia quindi una strategia rispetto ai nostri partner europei diversa da quella del passato, che pur contestando aspetti delle regole comunitarie si basava sul negoziato e non sullo scontro. Una possibile interpretazione di questa strategia è la seguente. Provocando Bruxelles sul deficit, l’Italia dà un altro calcio al patto di stabilità, contando — a ragione — sul fatto che quest’ultimo abbia ormai perso di credibilità, data la complessità delle sue regole e i difetti di concezione. Facendolo unilateralmente — e non nell’ambito delle discussioni multilaterali di riforma del governo economico dell’euro — indebolisce ancor più la già fragile fiducia tra Stati membri.
In questo modo si bloccano le riforme in discussione. Prima di tutto il completamento dell’unione bancaria e così anche ogni proposta di bilancio comune europeo. Ma poco importa perché queste riforme sono oggi improbabili, data la fragilità politica di tutti i Paesi membri e la crescente avversità al «più Europa» che rende leader riformatori come Emmanuel Macron e Angela Merkel più prudenti che nel passato.
Quindi, diamo un bel calcio e andiamo per la nostra strada. Ai mercati questo piace poco ma non siamo nelle condizioni del 2011, in piena crisi finanziaria e con una minaccia imminente per la sopravvivenza della moneta unica. Il costo dello spread sarà sicuramente pesante, alzerà gli oneri finanziari, il costo di raccolta delle banche e quindi le condizioni di credito. Se la manovra porterà crescita e consenso si sopporterà anche questo, naturalmente contando sul fatto che la fuga degli investitori stranieri non sarà troppo rapida e massiccia.
Poiché immagino che i membri più avveduti della coalizione sappiano che è molto improbabile che una manovra così sbilanciata sulla spesa corrente sia adeguata a risolvere i problemi di crescita strutturale dell’Italia e che quindi anch’essi si aspettino che i miracoli preannunciati sul Pil non si vedranno, la strategia del governo mi sembra non sia in realtà quella di fare la rivoluzione, ma al contrario soltanto quella di prendere tempo. Tempo necessario a consolidare consensi in vista delle elezioni europee e dei prossimi appuntamenti elettorali mentre si rende l’economia italiana progressivamente meno dipendente dagli investitori esteri.
Questo comporterà misure che creino incentivi ai cittadini a comprare titoli di Stato, pressioni affinché le banche facciano altrettanto e rinunciando quindi a quei vantaggi di diversificazione dovuti all’integrazione finanziaria che sono una delle motivazioni fondamentali del mercato unico. Si potrebbe addirittura sostenere che una nuova regola per la comunità europea dovrebbe essere quella di dare completa libertà ai governi nazionali per le politiche di bilancio, se queste non comportano pericoli per gli altri e sono quindi finanziate interamente contraendo debito con i propri cittadini. Questo potrebbe proprio essere l’inizio dell’Europa a due velocità con l’Italia nelle mani degli italiani, «recintata» per evitare che crisi possibili del debito contagino gli altri Paesi. Noi italiani saremmo così letteralmente tutti in una stessa barca, con un rischio bancario eguale al rischio sovrano: fallisce lo Stato, falliscono le banche e viceversa. I cittadini rinuncerebbero in modo patriottico a usare i loro risparmi in modo più remunerativo mentre le banche sosterrebbero lo Stato invece che le imprese. Se il patriottismo non bastasse, si dovrebbe considerare l’introduzione di controlli sui movimenti di capitale.
È chiaro che questa prospettiva sovranista non potrebbe durare perché affosserebbe ancora di più la crescita e soprattutto essa è fondamentalmente incompatibile con la logica di un mercato integrato e con la moneta unica. Il passo seguente sarebbe quindi uscire dall’euro riconquistando libertà di cambio e di emissione di moneta propria. Ho già scritto dei limiti di questa scelta e dei costi che comporterebbe per gli italiani ma è lì che — in modo più o meno cosciente, e sicuramente poco trasparente — questo governo ci sta portando.

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La perfetta manovra maldestra

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Va dato atto al governo verde-giallo di avere concepito una strategia impeccabile, da manuale, se la si valuta in base al vero obiettivo del consenso

La perfetta manovra maldestra
Sbagliano i critici della manovra. Essa non è né maldestra né azzardata. Chi critica la manovra lo fa perché la valuta sulla base dell’interesse generale del Paese. Ma così è come fare gol a porta vuota.
Allora proviamo a ragionare. È vero, la manovra è maldestra. Sceglie con orgoglio una strategia pluriennale di significativo disavanzo pubblico, sfidando gli articoli 81 e 97 della Costituzione e le regole convenute con l’Unione Europea. Presenta un’Italia refrattaria al buon senso. Il nostro Paese spicca infatti per alto disavanzo e debito pubblico e per bassa crescita, dovuta anche ad uno Stato-provvidenza e frenatore del mercato. Ora che il «governo del cambiamento» ha preso in mano il Paese, punta a farlo crescere di più mediante disavanzo e debito ancora maggiori e l’inversione del percorso avviato dagli ultimi quattro governi per rimuovere alcuni ostacoli alla crescita. Inoltre, la manovra è effettivamente azzardata. Pur con ipotesi prudenziali, Federico Fubini nel Corriere di ieri ha quantificato quell’azzardo in un probabile accumulo di oltre 100 miliardi di euro aggiuntivi di debito pubblico nei prossimi tre anni, con una preoccupante conseguenza.«Per la prima volta a ogni lavoratore in Italia corrisponderà una quota di debito dello Stato superiore ai centomila euro, come se a ciascun occupato nel Paese facesse capo un mutuo-casa da pagare ogni mese, senza però che questi abbia la casa».
La prospettiva potrebbe aggravarsi ulteriormente se i mercati finanziari reagissero con nervosismo alla manovra italiana (venerdì lo spread Btp-Bund aveva toccato i 282 punti, contro i 102 della Spagna e i 33 della Francia), alle prossime valutazioni delle agenzie di rating e alle posizioni che assumeranno la Commissione e l’Eurogruppo. Questi, se vorranno mantenere un minimo di credibilità, dovranno prendere in considerazione una procedura di infrazione per disavanzo eccessivo nei confronti dell’Italia. Ciò sottoporrebbe le scelte del governo a vincoli più stretti. Un governo nazionalista e sovranista finirebbe così per provocare una riduzione della sovranità effettiva della Nazione.
Con le ampie emissioni di titoli di Stato che questa manovra comporterà, il loro assorbimento da parte del mercato è destinato ad assottigliarsi e a richiedere tassi di interesse crescenti, quando si ridurranno gli acquisti da parte della Bce al venir meno del quantitative easing. Gli Stati bisognosi di un temporaneo sostegno non verranno lasciati soli dalla Ue. Potranno richiedere alla Bce l’attivazione di uno strumento di finanziamento creato nel 2012 e che nessuno Stato ha finora richiesto, l’Omt (Outright monetary transactions). Attenzione, però: per potersene avvalere, lo Stato deve essere in regola con le norme e gli impegni europei. Con questa manovra, l’Italia ha scelto di non rispettarli. Non so se ne fossero consapevoli, ma i ministri usciti euforici l’altra sera sul balcone di Palazzo Chigi avevano appena tagliato le funi dell’unica rete di sicurezza disponibile per l’Italia in caso di bisogno.
Possiamo allora concludere che questa manovra è effettivamente maldestra e azzardata. Diciamolo pure, è irresponsabile. Però questo è vero solo dal punto di vista del bene del Paese, dell’interesse generale, della Nazione, del popolo e della sovranità, che verranno tutti danneggiati. Ma smettiamola di essere così ingenui ! Non è questo che in generale interessa ai politici, in Italia e altrove, in questi anni. Il loro vero obiettivo è ottenere il consenso per essere eletti e, una volta che sono al governo, il consenso per essere rieletti.
Da questo punto di vista, va dato atto al governo verde-giallo (che, come nei semafori, tende al rosso per quanto riguarda i bilanci) di avere concepito una strategia impeccabile, da manuale. Così è, se la si valuta in base al vero obiettivo del consenso. Di Maio e Salvini disprezzano (in parte, giustamente) i mercati finanziari. Ma devono averli studiati a fondo. Quel che hanno fatto, con le tre «carte» programmi elettorali-contratto di governo-manovra, è un impeccabile e riuscitissimo Lbo (leveraged buyout). Come è noto, un Lbo è un’operazione di finanza strutturata utilizzata per l’acquisizione di una società mediante lo sfruttamento della capacità di indebitamento della società stessa.
Nel caso dei nostri due, la società è lo Stato italiano. Il controllo dello Stato (assicurato dalla maggioranza parlamentare e dal governo) è stato acquisito mediante l’emissione di ingenti promesse di pagamenti vari ai cittadini-elettori (reddito di cittadinanza, flat tax, condono, abolizione della legge Fornero, ecc.), beninteso alla condizione che si presentassero numerosi il giorno dell’assemblea sociale (le elezioni) e votassero in modo tale da far sì che gli autori delle promesse acquisissero il controllo della società (lo Stato) e assolvessero poi al debito da loro assunto con le promesse attingendo alla cassa della società e alla sua capacità di indebitarsi ulteriormente.
Certo, siccome coloro che avevano accettato le promesse-contro-voto facevano parte di due grandi gruppi, quello giallo e quello verde, occorrevano appropriati accordi (il contratto di governo) per assicurare un equilibrio nell’assolvimento delle promesse fatte agli uni e agli altri. Dato che le disposizioni del contratto di governo hanno natura di patti parasociali, nessuna sorpresa che a garantirne l’osservanza, come spesso avviene per i presidenti dei patti di sindacato, sia stato chiamato come presidente del Consiglio uno stimato docente di Diritto. Durante la campagna elettorale avevo osservato che, siccome ogni promessa è debito e le promesse dei partiti erano di una generosità senza precedenti, noi cittadini alla fine saremmo stati gravati da pesanti debiti, per disobbligare i partiti verso gli elettori. Non avrei però immaginato che il gioco delle tre carte sarebbe stato praticato su scala così vasta e con una tale perfezione. 

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Robert Habeck on Israel and Antisemitism

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