Tuesday, October 23, 2018
Tuesday, October 02, 2018
La partita pericolosa sull’euro
https://www.corriere.it/opinioni/18_settembre_29/i-pericoli-costi-ec47480e-c41c-11e8-af74-9a32bd2d1376.shtml
La strategia del governo non sembra in realtà quella di fare la rivoluzione, ma al contrario soltanto quella di prendere tempo. Tempo necessario a consolidare consensi in vista delle elezioni europee e dei prossimi appuntamenti elettorali mentre si rende l’economia italiana progressivamente meno dipendente dagli investitori esteri
shadow
La
manovra approvata dal governo costituisce un’aperta sfida all’Europa. I
giallo-verdi spiegano che la loro responsabilità è innanzitutto nei
confronti degli italiani, mettendo quindi in contrapposizione gli
interessi di questi ultimi a quelli europei: una retorica martellante
che ha prodotto la convinzione di molti secondo cui l’Europa sarebbe in
realtà un nemico le cui regole sono state disegnate per sostenere gli
interessi tedeschi, contro di noi. Immagino che il governo abbia
quindi una strategia rispetto ai nostri partner europei diversa da
quella del passato, che pur contestando aspetti delle regole comunitarie
si basava sul negoziato e non sullo scontro. Una possibile
interpretazione di questa strategia è la seguente. Provocando Bruxelles
sul deficit, l’Italia dà un altro calcio al patto di stabilità, contando
— a ragione — sul fatto che quest’ultimo abbia ormai perso di
credibilità, data la complessità delle sue regole e i difetti di
concezione. Facendolo unilateralmente — e non nell’ambito delle
discussioni multilaterali di riforma del governo economico dell’euro —
indebolisce ancor più la già fragile fiducia tra Stati membri.
In questo modo si bloccano le riforme in discussione.
Prima di tutto il completamento dell’unione bancaria e così anche ogni
proposta di bilancio comune europeo. Ma poco importa perché queste
riforme sono oggi improbabili, data la fragilità politica di tutti i
Paesi membri e la crescente avversità al «più Europa» che rende leader
riformatori come Emmanuel Macron e Angela Merkel più prudenti che nel
passato.
Quindi, diamo un bel calcio e andiamo per la nostra strada.
Ai mercati questo piace poco ma non siamo nelle condizioni del 2011, in
piena crisi finanziaria e con una minaccia imminente per la
sopravvivenza della moneta unica. Il costo dello spread sarà sicuramente
pesante, alzerà gli oneri finanziari, il costo di raccolta delle banche
e quindi le condizioni di credito. Se la manovra porterà crescita e
consenso si sopporterà anche questo, naturalmente contando sul fatto che
la fuga degli investitori stranieri non sarà troppo rapida e massiccia.
Poiché immagino che i membri più
avveduti della coalizione sappiano che è molto improbabile che una
manovra così sbilanciata sulla spesa corrente sia adeguata a risolvere i
problemi di crescita strutturale dell’Italia e che quindi
anch’essi si aspettino che i miracoli preannunciati sul Pil non si
vedranno, la strategia del governo mi sembra non sia in realtà quella di
fare la rivoluzione, ma al contrario soltanto quella di prendere tempo.
Tempo necessario a consolidare consensi in vista delle elezioni europee
e dei prossimi appuntamenti elettorali mentre si rende l’economia
italiana progressivamente meno dipendente dagli investitori esteri.
Questo comporterà misure che creino
incentivi ai cittadini a comprare titoli di Stato, pressioni affinché le
banche facciano altrettanto e rinunciando quindi a quei vantaggi di
diversificazione dovuti all’integrazione finanziaria che sono una delle
motivazioni fondamentali del mercato unico. Si potrebbe
addirittura sostenere che una nuova regola per la comunità europea
dovrebbe essere quella di dare completa libertà ai governi nazionali per
le politiche di bilancio, se queste non comportano pericoli per gli
altri e sono quindi finanziate interamente contraendo debito con i
propri cittadini. Questo potrebbe proprio essere l’inizio dell’Europa a
due velocità con l’Italia nelle mani degli italiani, «recintata» per
evitare che crisi possibili del debito contagino gli altri Paesi. Noi
italiani saremmo così letteralmente tutti in una stessa barca, con un
rischio bancario eguale al rischio sovrano: fallisce lo Stato,
falliscono le banche e viceversa. I cittadini rinuncerebbero in modo
patriottico a usare i loro risparmi in modo più remunerativo mentre le
banche sosterrebbero lo Stato invece che le imprese. Se il patriottismo
non bastasse, si dovrebbe considerare l’introduzione di controlli sui
movimenti di capitale.
È chiaro che questa prospettiva
sovranista non potrebbe durare perché affosserebbe ancora di più la
crescita e soprattutto essa è fondamentalmente incompatibile con la
logica di un mercato integrato e con la moneta unica. Il passo
seguente sarebbe quindi uscire dall’euro riconquistando libertà di
cambio e di emissione di moneta propria. Ho già scritto dei limiti di
questa scelta e dei costi che comporterebbe per gli italiani ma è lì che
— in modo più o meno cosciente, e sicuramente poco trasparente — questo
governo ci sta portando.
29 settembre 2018 (modifica il 29 settembre 2018 | 22:50)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
La perfetta manovra maldestra
https://www.corriere.it/opinioni/18_settembre_29/perfetta-manovra-maldestra-2a8a2bec-c42a-11e8-af74-9a32bd2d1376.shtml
Va dato atto al governo verde-giallo di avere concepito una strategia impeccabile, da manuale, se la si valuta in base al vero obiettivo del consenso
Sbagliano i critici della manovra.
Essa non è né maldestra né azzardata. Chi critica la manovra lo fa
perché la valuta sulla base dell’interesse generale del Paese. Ma così è
come fare gol a porta vuota.
Allora proviamo a ragionare. È
vero, la manovra è maldestra. Sceglie con orgoglio una strategia
pluriennale di significativo disavanzo pubblico, sfidando gli articoli
81 e 97 della Costituzione e le regole convenute con l’Unione Europea.
Presenta un’Italia refrattaria al buon senso. Il nostro Paese spicca
infatti per alto disavanzo e debito pubblico e per bassa crescita,
dovuta anche ad uno Stato-provvidenza e frenatore del mercato. Ora che
il «governo del cambiamento» ha preso in mano il Paese, punta a farlo
crescere di più mediante disavanzo e debito ancora maggiori e
l’inversione del percorso avviato dagli ultimi quattro governi per
rimuovere alcuni ostacoli alla crescita. Inoltre, la manovra è
effettivamente azzardata. Pur con ipotesi prudenziali, Federico Fubini nel Corriere di ieri ha quantificato quell’azzardo in un probabile accumulo di oltre 100 miliardi di euro aggiuntivi di debito pubblico nei prossimi tre anni, con una preoccupante conseguenza.«Per
la prima volta a ogni lavoratore in Italia corrisponderà una quota di
debito dello Stato superiore ai centomila euro, come se a ciascun
occupato nel Paese facesse capo un mutuo-casa da pagare ogni mese, senza
però che questi abbia la casa».
La prospettiva potrebbe aggravarsi ulteriormente se i mercati finanziari reagissero con nervosismo alla manovra italiana (venerdì lo spread Btp-Bund aveva toccato i 282 punti, contro
i 102 della Spagna e i 33 della Francia), alle prossime valutazioni
delle agenzie di rating e alle posizioni che assumeranno la Commissione e
l’Eurogruppo. Questi, se vorranno mantenere un minimo di
credibilità, dovranno prendere in considerazione una procedura di
infrazione per disavanzo eccessivo nei confronti dell’Italia. Ciò
sottoporrebbe le scelte del governo a vincoli più stretti. Un governo
nazionalista e sovranista finirebbe così per provocare una riduzione
della sovranità effettiva della Nazione.
Con le ampie emissioni di titoli di
Stato che questa manovra comporterà, il loro assorbimento da parte del
mercato è destinato ad assottigliarsi e a richiedere tassi di interesse
crescenti, quando si ridurranno gli acquisti da parte della Bce al venir
meno del quantitative easing. Gli Stati bisognosi di un
temporaneo sostegno non verranno lasciati soli dalla Ue. Potranno
richiedere alla Bce l’attivazione di uno strumento di finanziamento
creato nel 2012 e che nessuno Stato ha finora richiesto, l’Omt (Outright monetary transactions).
Attenzione, però: per potersene avvalere, lo Stato deve essere in
regola con le norme e gli impegni europei. Con questa manovra, l’Italia
ha scelto di non rispettarli. Non so se ne fossero consapevoli, ma i
ministri usciti euforici l’altra sera sul balcone di Palazzo Chigi
avevano appena tagliato le funi dell’unica rete di sicurezza disponibile
per l’Italia in caso di bisogno.
Possiamo allora concludere che questa manovra è effettivamente maldestra e azzardata. Diciamolo pure, è irresponsabile. Però questo è vero solo
dal punto di vista del bene del Paese, dell’interesse generale, della
Nazione, del popolo e della sovranità, che verranno tutti danneggiati.
Ma smettiamola di essere così ingenui ! Non è questo che in generale
interessa ai politici, in Italia e altrove, in questi anni. Il loro vero
obiettivo è ottenere il consenso per essere eletti e, una volta che
sono al governo, il consenso per essere rieletti.
Da questo punto di vista, va dato atto
al governo verde-giallo (che, come nei semafori, tende al rosso per
quanto riguarda i bilanci) di avere concepito una strategia impeccabile,
da manuale. Così è, se la si valuta in base al vero obiettivo
del consenso. Di Maio e Salvini disprezzano (in parte, giustamente) i
mercati finanziari. Ma devono averli studiati a fondo. Quel che hanno
fatto, con le tre «carte» programmi elettorali-contratto di
governo-manovra, è un impeccabile e riuscitissimo Lbo (leveraged
buyout). Come è noto, un Lbo è un’operazione di finanza strutturata
utilizzata per l’acquisizione di una società mediante lo sfruttamento
della capacità di indebitamento della società stessa.
Nel caso dei nostri due, la società è lo Stato italiano.
Il controllo dello Stato (assicurato dalla maggioranza parlamentare e
dal governo) è stato acquisito mediante l’emissione di ingenti promesse
di pagamenti vari ai cittadini-elettori (reddito di cittadinanza, flat
tax, condono, abolizione della legge Fornero, ecc.), beninteso alla
condizione che si presentassero numerosi il giorno dell’assemblea
sociale (le elezioni) e votassero in modo tale da far sì che gli autori
delle promesse acquisissero il controllo della società (lo Stato) e
assolvessero poi al debito da loro assunto con le promesse attingendo
alla cassa della società e alla sua capacità di indebitarsi
ulteriormente.
Certo, siccome coloro che avevano
accettato le promesse-contro-voto facevano parte di due grandi gruppi,
quello giallo e quello verde, occorrevano appropriati accordi (il
contratto di governo) per assicurare un equilibrio nell’assolvimento
delle promesse fatte agli uni e agli altri. Dato che le
disposizioni del contratto di governo hanno natura di patti parasociali,
nessuna sorpresa che a garantirne l’osservanza, come spesso avviene per
i presidenti dei patti di sindacato, sia stato chiamato come presidente
del Consiglio uno stimato docente di Diritto.
Durante la campagna elettorale avevo osservato che, siccome ogni
promessa è debito e le promesse dei partiti erano di una generosità
senza precedenti, noi cittadini alla fine saremmo stati gravati da
pesanti debiti, per disobbligare i partiti verso gli elettori. Non avrei
però immaginato che il gioco delle tre carte sarebbe stato praticato su
scala così vasta e con una tale perfezione.
29 settembre 2018 (modifica il 30 settembre 2018 | 10:00)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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