Coronavirus, negli Stati Uniti la politica viene prima della salute dei cittadini
di Andrea Marinelli e Milena Gabanelli
Senza lockdown solo i repubblicani
Che la politica sia finita davanti alla salute dei cittadini, però, è evidente da un altro dato. Gli unici 6 Stati che non hanno ancora deciso di indire un lockdown totale sono tutti repubblicani, così come la grande maggioranza di quelli che hanno chiuso per ultimi, da aprile in poi. In Oklahoma, la questione è totalmente in mano ai sindaci. In South Dakota, la governatrice Kristi Noem si è rifiutata di dire ai residenti di stare a casa e ora si ritrova uno dei principali focolai del Paese in un impianto per la lavorazione della carne di maiale, che potrebbe mettere a rischio la filiera in tutti gli Stati Uniti. I governatori di Florida, Georgia e Mississippi — tutti Stati vinti da Trump nel 2016 — dopo aver respinto per due settimane le richieste degli esperti di salute pubblica, hanno ordinato ai propri residenti di restare a casa soltanto il 2 aprile.
Il caso negativo della Florida
Il caso più noto è quello del governatore della Florida Ron DeSantis — un opaco politico locale che ha vinto le elezioni nel 2018 grazie al sostegno del presidente — che, mentre scuole e università chiudevano in tutto il Paese per la pandemia, ha lasciato che gli studenti affollassero le spiagge durante le vacanze di primavera. «Se mi prendo il virus, chissenefrega», disse uno di loro scatenando polemiche mondiali. Il ragazzo, un 22enne dell'Ohio, si è poi scusato, ma il governatore della Florida — lo Stato insieme al Maine con la più alta percentuale di anziani, la categoria più a rischio in questa emergenza — ha lasciato passare ancora due settimane prima di tenere tutti chiusi in casa. Poi, lunedì 13 aprile, ha fatto ripartire alcune «attività essenziali», fra cui il wrestling: gli sport con «audience nazionale» sono infatti fondamentali per l'economia dello Stato. E la fondatrice della World Wrestling Entertainment Linda McMahon è una fedele alleata di Trump.
Il peso dell'economia sulle elezioni di novembre
Il governatore della Florida DeSantis, come gran parte dei conservatori, ha esitato proprio per paura delle ripercussioni sull'economia in un anno elettorale. «La posizione del governo è che nella scelta fra perdere lo stile di vita americano — a causa del disastro economico — e perdere vite americane, dobbiamo sempre scegliere la seconda opzione», ha chiarito il deputato repubblicano dell'Indiana Trey Hollingsworth, definendo la seconda opzione «il male minore». Tutti i presidenti in corsa per la rielezione dopo una «crisi» sono stati sconfitti, come mostra uno studio di Mehlman Castagnetti rilanciato dal sito Axios: George H. W. Bush nel 1992, con la disoccupazione al 7,4% e il Pil che l'anno precedente si era contratto dello 0,1%; Jimmy Carter nel 1980, con la disoccupazione al 7,2% e il Pil calato dello 0,3% nello stesso anno; Gerald Ford nel 1976, dopo due anni con la disoccupazione fra il 7,8% e l'8,2% e il Pil in contrazione fra lo 0,2 e lo 0,5. E poi Herbert Hoover nel 1932, e anche William Taft nel 1912. Il pezzo forte del programma elettorale di Trump — l'economia — si è schiantato insomma sul virus e sulle 16,5 milioni di richieste di sussidi di disoccupazione presentate in 3 settimane (il precedente record settimanale era di 695 mila e risaliva al 1982), e i suoi alleati più fidati hanno fatto blocco con lui: in particolare DeSantis, che guida uno degli Stati in bilico per eccellenza.
Il caso positivo dell'Ohio
Non tutti gli Stati in mano ai repubblicani, però, hanno seguito l'agenda del presidente. In Ohio, un altro dei principali stati in bilico, il governatore Mike DeWine è intervenuto presto e ha preparato lo Stato alla pandemia in arrivo. Il 26 febbraio, due giorni prima che Trump definisse il coronavirus la «nuova bufala» del partito democratico, la Cleveland Clinic annunciava la predisposizione di 1.000 posti letto aggiuntivi negli ospedali. Il 4 marzo, mentre Trump continuava a minimizzare e in Ohio non c'erano ancora casi conclamati, DeWine annullava una convention di fitness che avrebbe attirato 60 mila persone a Columbus. Oggi lo Stato del Midwest, scrive il Washington Post, ha molti meno casi rispetto a Michigan, Illinois, e Pennsylvania, tre stati a cui è paragonabile: 6.975 contagi contro i 25.635 del Michigan, i 22.025 dell'Illinois e i 24.292 della Pennsylvania. Anche i morti sono di meno: in Ohio sono 274, in Michigan 1.602, in Illinois 798 e in Pennsylvania 589.
La lenta reazione di Trump
A trasformare gli Stati Uniti nell'epicentro mondiale del coronavirus è stata proprio la lenta risposta dei leader politici, che ne ha accelerato la diffusione. In particolare, spiega una dettagliata analisi del New York Times, il presidente Trump è stato molto lento nel capire la portata del rischio e ad agire, preferendo — per sei settimane — controllare il messaggio, proteggere l'economia e respingere gli avvertimenti dei suoi funzionari più importanti. A fine gennaio 2020 il consigliere economico Peter Navarro aveva avvertito Trump del rischio imminente della pandemia da Covid-19, ma per due mesi il presidente ha continuato a sostenere che il virus avrebbe schivato il Paese, e sono quando era con le spalle al muro si è messo in mano a esperti come l'immunologo Anthony Fauci, dal 1984 direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, costretti a smentire le falsità del presidente mentre gestivano la più grave crisi sanitaria di questo millennio.
Il numero delle vittime è più alto
Al 14 aprile, negli Stati Uniti 23.604 persone sono morte a causa del coronavirus e circa 581 mila casi sono stati rilevati ufficialmente. Gli Stati più colpiti sono quelli democratici del Nordest e del Midwest — in particolare New York, New Jersey, Connecticut, Michigan e Illinois — ovvero i più densamente popolati e dove il virus è arrivato prima. Il numero totale delle vittime però è certamente più alto. Il Wyoming, ad esempio, ufficialmente ha registrato un unico decesso il 13 aprile ma, come ha spiegato un medico legale dello Stato a Cnn, alle vittime non sono stati fatti test. La situazione è stata confermata da 13 medici legali in 9 diversi Stati: mancano i test. «La risposta più semplice è che il National Center for Health Statistics del Cdc conta solo coloro che hanno scritto Covid-19 sul certificato di morte», ha spiegato un portavoce del Centers for Disease Control and Prevention.
La carenza di test e infermieri
Il problema dei test accomuna tutti i Paesi occidentali colpiti dalla pandemia. Negli Stati Uniti, ha spiegato in un'inchiesta di Nature David Pride, esperto di malattie infettive della University of California di San Diego, molti laboratori — che hanno speso migliaia dollari per adattarsi all'emergenza e possono restituire i risultati anche in 24 ore — stanno operando capacità ridotta, perché gli ospedali continuano a lavorare con le compagnie diagnostiche con cui operavano prima anche se, a causa dalla grande domanda, processano i risultati in 3-7 giorni. Più rallenti la diagnosi, però, più favorisci la diffusione del virus. In New Jersey, il secondo Stato più colpito, è stato effettuato un test ogni 75 abitanti, mentre a New York è 1 su 40. Come ha raccontato il New York Times, mancano tamponi e infermieri che li facciano: ai tendoni drive-through dove si fanno i test, i cittadini malati — con la tosse, la febbre e gli occhi arrossati – sono costretti a passare la notte in auto pur di fare un tampone, poi devono aspettare giorni per avere il responso.
Il presidente impegnato con le elezioni
Ad oggi sono stati fatti poco meno di 3 milioni di tamponi su una popolazione di circa 330 milioni. Secondo gli esperti spetta al governo federale ridurre le barriere logistiche nel fare i test, ma il presidente è troppo impegnato a pensare alla sua rielezione. Le conseguenze devastanti del mancato coordinamento fra il governo federale e gli Stati sono state particolarmente evidenti a New York, lo Stato colpito più duramente dalla pandemia. Le zone con più contagi e vittime sono quelle del Queens e di Brooklyn, dove vivono le classi più povere in spazi ristretti ed in sovraffollamento, costrette a lavorare per mancanza di denaro, mentre i medici non hanno avuto alcuna direttiva su come affrontare l'epidemia: è servito tempo per reperire tamponi, mascherine e respiratori perché sono prodotti nei paesi asiatici. Il presidente da un lato lodava l'impegno del personale medico, dall'altro li accusava velatamente di rivendere le mascherine. «C'è qualcosa di strano se passi da una richiesta di 10 mila mascherine a 300 mila», ha affermato Trump, lasciando intendere che un non meglio specificato ospedale newyorkese «le facesse uscire dalla porta sul retro».
Gli aiuti mirati
Accuse gratuite e zero prove, ma intanto gli aiuti dal governo federale sono arrivati con ritardo, e sono stati destinati soprattutto agli Stati prevalentemente repubblicani e a coloro che lo avevano appoggiato nella sua campagna elettorale. Il governatore democratico del Kentucky Andy Beshear, per esempio, ha rivelato che ogni volta che ha tentato di acquistare materiale protettivo, questo gli è stato scippato dal governo federale che arrivava all'ultimo e offriva di più; quello della California Gavin Newsom ha speso un miliardo di dollari per poterselo fabbricare da solo, arrivando per primo a dichiarare una secessione del suo Stato per quanto riguarda la gestione dell'emergenza.
La cosa buona di Trump (e l'impreparazione)
Una cosa buona, però, Trump l'ha fatta: quella di avallare l'utilizzo di un protocollo di cura a base di idrossiclorochina e azitromicina, un regime terapeutico che stanno adottando anche alcune regioni italiane e che sembra avere qualche successo. Un'iniziativa dei medici ospedalieri, che si sono attivati nel giro di pochi giorni bypassando e quasi forzando l'Food and Drug Administration. Sta di fatto che ancora oggi non ci sono disposizioni precise sul livello di lockdown, su quali mascherine mettere e in quali circostanze. È vero che nessun Paese era pronto ad affrontare questa emergenza planetaria, ma il livello di impreparazione da parte della prima potenza economica e scientifica al mondo è il fatto che sorprende di più.
Coronavirus, negli Stati Uniti la politica viene prima della salute dei cittadini
di Andrea Marinelli e Milena Gabanelli
Senza lockdown solo i repubblicani
Che la politica sia finita davanti alla salute dei cittadini, però, è evidente da un altro dato. Gli unici 6 Stati che non hanno ancora deciso di indire un lockdown totale sono tutti repubblicani, così come la grande maggioranza di quelli che hanno chiuso per ultimi, da aprile in poi. In Oklahoma, la questione è totalmente in mano ai sindaci. In South Dakota, la governatrice Kristi Noem si è rifiutata di dire ai residenti di stare a casa e ora si ritrova uno dei principali focolai del Paese in un impianto per la lavorazione della carne di maiale, che potrebbe mettere a rischio la filiera in tutti gli Stati Uniti. I governatori di Florida, Georgia e Mississippi — tutti Stati vinti da Trump nel 2016 — dopo aver respinto per due settimane le richieste degli esperti di salute pubblica, hanno ordinato ai propri residenti di restare a casa soltanto il 2 aprile.
Il caso negativo della Florida
Il caso più noto è quello del governatore della Florida Ron DeSantis — un opaco politico locale che ha vinto le elezioni nel 2018 grazie al sostegno del presidente — che, mentre scuole e università chiudevano in tutto il Paese per la pandemia, ha lasciato che gli studenti affollassero le spiagge durante le vacanze di primavera. «Se mi prendo il virus, chissenefrega», disse uno di loro scatenando polemiche mondiali. Il ragazzo, un 22enne dell'Ohio, si è poi scusato, ma il governatore della Florida — lo Stato insieme al Maine con la più alta percentuale di anziani, la categoria più a rischio in questa emergenza — ha lasciato passare ancora due settimane prima di tenere tutti chiusi in casa. Poi, lunedì 13 aprile, ha fatto ripartire alcune «attività essenziali», fra cui il wrestling: gli sport con «audience nazionale» sono infatti fondamentali per l'economia dello Stato. E la fondatrice della World Wrestling Entertainment Linda McMahon è una fedele alleata di Trump.
Il peso dell'economia sulle elezioni di novembre
Il governatore della Florida DeSantis, come gran parte dei conservatori, ha esitato proprio per paura delle ripercussioni sull'economia in un anno elettorale. «La posizione del governo è che nella scelta fra perdere lo stile di vita americano — a causa del disastro economico — e perdere vite americane, dobbiamo sempre scegliere la seconda opzione», ha chiarito il deputato repubblicano dell'Indiana Trey Hollingsworth, definendo la seconda opzione «il male minore». Tutti i presidenti in corsa per la rielezione dopo una «crisi» sono stati sconfitti, come mostra uno studio di Mehlman Castagnetti rilanciato dal sito Axios: George H. W. Bush nel 1992, con la disoccupazione al 7,4% e il Pil che l'anno precedente si era contratto dello 0,1%; Jimmy Carter nel 1980, con la disoccupazione al 7,2% e il Pil calato dello 0,3% nello stesso anno; Gerald Ford nel 1976, dopo due anni con la disoccupazione fra il 7,8% e l'8,2% e il Pil in contrazione fra lo 0,2 e lo 0,5. E poi Herbert Hoover nel 1932, e anche William Taft nel 1912. Il pezzo forte del programma elettorale di Trump — l'economia — si è schiantato insomma sul virus e sulle 16,5 milioni di richieste di sussidi di disoccupazione presentate in 3 settimane (il precedente record settimanale era di 695 mila e risaliva al 1982), e i suoi alleati più fidati hanno fatto blocco con lui: in particolare DeSantis, che guida uno degli Stati in bilico per eccellenza.
Il caso positivo dell'Ohio
Non tutti gli Stati in mano ai repubblicani, però, hanno seguito l'agenda del presidente. In Ohio, un altro dei principali stati in bilico, il governatore Mike DeWine è intervenuto presto e ha preparato lo Stato alla pandemia in arrivo. Il 26 febbraio, due giorni prima che Trump definisse il coronavirus la «nuova bufala» del partito democratico, la Cleveland Clinic annunciava la predisposizione di 1.000 posti letto aggiuntivi negli ospedali. Il 4 marzo, mentre Trump continuava a minimizzare e in Ohio non c'erano ancora casi conclamati, DeWine annullava una convention di fitness che avrebbe attirato 60 mila persone a Columbus. Oggi lo Stato del Midwest, scrive il Washington Post, ha molti meno casi rispetto a Michigan, Illinois, e Pennsylvania, tre stati a cui è paragonabile: 6.975 contagi contro i 25.635 del Michigan, i 22.025 dell'Illinois e i 24.292 della Pennsylvania. Anche i morti sono di meno: in Ohio sono 274, in Michigan 1.602, in Illinois 798 e in Pennsylvania 589.
La lenta reazione di Trump
A trasformare gli Stati Uniti nell'epicentro mondiale del coronavirus è stata proprio la lenta risposta dei leader politici, che ne ha accelerato la diffusione. In particolare, spiega una dettagliata analisi del New York Times, il presidente Trump è stato molto lento nel capire la portata del rischio e ad agire, preferendo — per sei settimane — controllare il messaggio, proteggere l'economia e respingere gli avvertimenti dei suoi funzionari più importanti. A fine gennaio 2020 il consigliere economico Peter Navarro aveva avvertito Trump del rischio imminente della pandemia da Covid-19, ma per due mesi il presidente ha continuato a sostenere che il virus avrebbe schivato il Paese, e sono quando era con le spalle al muro si è messo in mano a esperti come l'immunologo Anthony Fauci, dal 1984 direttore del National Institute of Allergy and Infectious Diseases, costretti a smentire le falsità del presidente mentre gestivano la più grave crisi sanitaria di questo millennio.
Il numero delle vittime è più alto
Al 14 aprile, negli Stati Uniti 23.604 persone sono morte a causa del coronavirus e circa 581 mila casi sono stati rilevati ufficialmente. Gli Stati più colpiti sono quelli democratici del Nordest e del Midwest — in particolare New York, New Jersey, Connecticut, Michigan e Illinois — ovvero i più densamente popolati e dove il virus è arrivato prima. Il numero totale delle vittime però è certamente più alto. Il Wyoming, ad esempio, ufficialmente ha registrato un unico decesso il 13 aprile ma, come ha spiegato un medico legale dello Stato a Cnn, alle vittime non sono stati fatti test. La situazione è stata confermata da 13 medici legali in 9 diversi Stati: mancano i test. «La risposta più semplice è che il National Center for Health Statistics del Cdc conta solo coloro che hanno scritto Covid-19 sul certificato di morte», ha spiegato un portavoce del Centers for Disease Control and Prevention.
La carenza di test e infermieri
Il problema dei test accomuna tutti i Paesi occidentali colpiti dalla pandemia. Negli Stati Uniti, ha spiegato in un'inchiesta di Nature David Pride, esperto di malattie infettive della University of California di San Diego, molti laboratori — che hanno speso migliaia dollari per adattarsi all'emergenza e possono restituire i risultati anche in 24 ore — stanno operando capacità ridotta, perché gli ospedali continuano a lavorare con le compagnie diagnostiche con cui operavano prima anche se, a causa dalla grande domanda, processano i risultati in 3-7 giorni. Più rallenti la diagnosi, però, più favorisci la diffusione del virus. In New Jersey, il secondo Stato più colpito, è stato effettuato un test ogni 75 abitanti, mentre a New York è 1 su 40. Come ha raccontato il New York Times, mancano tamponi e infermieri che li facciano: ai tendoni drive-through dove si fanno i test, i cittadini malati — con la tosse, la febbre e gli occhi arrossati – sono costretti a passare la notte in auto pur di fare un tampone, poi devono aspettare giorni per avere il responso.
Il presidente impegnato con le elezioni
Ad oggi sono stati fatti poco meno di 3 milioni di tamponi su una popolazione di circa 330 milioni. Secondo gli esperti spetta al governo federale ridurre le barriere logistiche nel fare i test, ma il presidente è troppo impegnato a pensare alla sua rielezione. Le conseguenze devastanti del mancato coordinamento fra il governo federale e gli Stati sono state particolarmente evidenti a New York, lo Stato colpito più duramente dalla pandemia. Le zone con più contagi e vittime sono quelle del Queens e di Brooklyn, dove vivono le classi più povere in spazi ristretti ed in sovraffollamento, costrette a lavorare per mancanza di denaro, mentre i medici non hanno avuto alcuna direttiva su come affrontare l'epidemia: è servito tempo per reperire tamponi, mascherine e respiratori perché sono prodotti nei paesi asiatici. Il presidente da un lato lodava l'impegno del personale medico, dall'altro li accusava velatamente di rivendere le mascherine. «C'è qualcosa di strano se passi da una richiesta di 10 mila mascherine a 300 mila», ha affermato Trump, lasciando intendere che un non meglio specificato ospedale newyorkese «le facesse uscire dalla porta sul retro».
Gli aiuti mirati
Accuse gratuite e zero prove, ma intanto gli aiuti dal governo federale sono arrivati con ritardo, e sono stati destinati soprattutto agli Stati prevalentemente repubblicani e a coloro che lo avevano appoggiato nella sua campagna elettorale. Il governatore democratico del Kentucky Andy Beshear, per esempio, ha rivelato che ogni volta che ha tentato di acquistare materiale protettivo, questo gli è stato scippato dal governo federale che arrivava all'ultimo e offriva di più; quello della California Gavin Newsom ha speso un miliardo di dollari per poterselo fabbricare da solo, arrivando per primo a dichiarare una secessione del suo Stato per quanto riguarda la gestione dell'emergenza.
La cosa buona di Trump (e l'impreparazione)
Una cosa buona, però, Trump l'ha fatta: quella di avallare l'utilizzo di un protocollo di cura a base di idrossiclorochina e azitromicina, un regime terapeutico che stanno adottando anche alcune regioni italiane e che sembra avere qualche successo. Un'iniziativa dei medici ospedalieri, che si sono attivati nel giro di pochi giorni bypassando e quasi forzando l'Food and Drug Administration. Sta di fatto che ancora oggi non ci sono disposizioni precise sul livello di lockdown, su quali mascherine mettere e in quali circostanze. È vero che nessun Paese era pronto ad affrontare questa emergenza planetaria, ma il livello di impreparazione da parte della prima potenza economica e scientifica al mondo è il fatto che sorprende di più.