Il vicepremier Matteo Salvini aveva annunciato un terremoto nelle istituzioni Ue. Il risultato, per ora, non gli ha dato ragione: l’Italia è fuori da quasi tutti i ruoli di peso, con l’eccezione del (socialista) David Sassoli alla guida del Parlamento europeo. Male anche le nomine dei vicepresidenti: la spunta solo il grillino Cataldo, a spese della leghista Bizzotto
di Alberto Magnani
La «rivoluzione del buonsenso» di Salvini parte un po’ a rilento. Le maratone negoziali per il ricambio dei nuovi vertici Ue
si sono risolte con un pacchetto di nomine che ha escluso (quasi) del
tutto esponenti graditi o sponsorizzati dal governo Lega-Cinque stelle.
La possibile presidente della Commissione Ursula von der Leyen è un
membro della Unione cristiano-democratica di Angela Merkel, il
neopresidente del Consiglio europeo Charles Michel appartiene alla
famiglia europea dei liberali, la nuova numero uno della Bce Christine
Lagarde è stata spinta da Emmanuel Macron, l’alto rappresentante per la
Politica estera Josep Borrell è un vecchio volto della famiglia dei
Socialisti&Democratici. Così come è socialista l’unico italiano
eletto in un ruolo di peso: l’eurodeputato del Partito democratico David Sassoli ,
neopresidente del Parlamento europeo, nominato al secondo turno di voti
grazie all’appoggio di Partito popolare europeo e dei liberali
confluiti nel gruppo Renew Europe.
I Cinque stelle
si consolano con la rielezione del loro eurodeputato Fabio Massimo
Castaldo fra i 14 vicepresidenti dell’Eurocamera, rendendolo il primo
nella storia a ricoprire l’incarico senza essere iscritto a un gruppo
politico. Resta a bocca asciutta la Lega, ostile all’elezione di Sassoli
e delusa dal flop della candidatura alla vicepresidenza
dell’eurodeputata Mara Bizzotto. La diretta interessata ha parlato di
una «sconfitta della democrazia» e di uno «schiaffo a nove milioni di
italiani che hanno votato Salvini». Ma le ragioni del doppio scivolone, a
Bruxelles e Strasburgo, vanno cercate su altri fronti.
A Bruxelles il boomerang del no a Timmermans
In una intervista al Corriere della Sera, il premier Giuseppe Conte si è detto soddisfatto del pacchetto di nomine formulato a Bruxelles dal Consiglio europeo dopo una maratona di oltre tre giorni. O meglio, le cose sarebbero anche «potute andare peggio» rispetto alla rosa finale decisa dai leader europei. Ma è così vero? L’impatto maggiore del governo Lega-Cinque stelle, rappresentato proprio da Conte a Bruxelles, è stato quello di opporsi a un nome che sembrava in pole position per la carica di presidente della Commissione: l’olandese Frans Timmermans, già candidato-guida dei Socialisti alla guida dell’esecutivo Ue, catapultato improvvisamente fra i favoriti dopo l’endorsement pubblico di Angela Merkel. L’Italia si è messa di traverso alla sua nomina insieme a un blocco di «10-11 paesi», a partire dall’Ungheria di Viktor Orban, dicendosi contraria più al «metodo di scelta» che alla persona.
In una intervista al Corriere della Sera, il premier Giuseppe Conte si è detto soddisfatto del pacchetto di nomine formulato a Bruxelles dal Consiglio europeo dopo una maratona di oltre tre giorni. O meglio, le cose sarebbero anche «potute andare peggio» rispetto alla rosa finale decisa dai leader europei. Ma è così vero? L’impatto maggiore del governo Lega-Cinque stelle, rappresentato proprio da Conte a Bruxelles, è stato quello di opporsi a un nome che sembrava in pole position per la carica di presidente della Commissione: l’olandese Frans Timmermans, già candidato-guida dei Socialisti alla guida dell’esecutivo Ue, catapultato improvvisamente fra i favoriti dopo l’endorsement pubblico di Angela Merkel. L’Italia si è messa di traverso alla sua nomina insieme a un blocco di «10-11 paesi», a partire dall’Ungheria di Viktor Orban, dicendosi contraria più al «metodo di scelta» che alla persona.
Una perifrasi per attaccare il meccanismo degli spitzenkandidat,
i candidati indicati dai partiti come lo stesso Timmermans o il tedesco
Manfred Weber, visto che avrebbe «penalizzato l’Italia». Il risultato è
che Timmermans è uscito di scena, ma la sua attuale sostituta si sposa a
fatica con le inclinazioni dell’esecutivo italiano: appunto von der
Leyen, ministro della Difesa nel governo di Angela Merkel in Germania.
Timmermans ha sempre mantenuto buoni rapporti con il nostro paese (e la
nostra lingua: parla italiano), segue una linea flessibile sui conti
pubblici ed è favorevole, come il suo gruppo, a una riforma del
regolamento di Dublino che incentivi la cooperazione dei vari paesi Ue
nella gestione dei migranti. Von der Leyen è comunque espressione della
Cdu e del governo tedesco, additato più volte dal governo Lega-Cinque
stelle come una sorta di nemesi delle linee guida dell’esecutivo
italiano su politica economic a e gestione dei flussi migratori (anche
se Merkel si è sempre espressa a favore di una revisione del trattato , poi osteggiata dallo stesso governo italiano).
La «beffa» di Sassoli e il flop delle vicepresidenze
Non è andata meglio a Strasburgo, dove si giocava solo la partita della presidenza del Parlamento europeo. Il candidato eletto già al secondo turno di voti, Sassoli, appartiene al Pd e ai Socialisti&Democratici: rispettivamente il principale partito di opposizione al governo in Italia (il Pd) e uno dei gruppi che incarnano la vecchia Europa contestata da Lega e Cinque stelle (i Socialisti). Il voto per il numero uno dell’Eurocamera è segreto, ma è improbabile che le delegazioni dei due partiti abbiano dato la propria preferenza al candidato sostenuto in blocco da Socialisti, Popolari e Liberali. Anche se la sfida si è risolta quasi subito, gli unici concorrenti di peso alla sinistra e alla destra di Sassoli sono stati la Verde Ska Kelle r (133 preferenze al secondo voto) e il ceco Jan Zahradil, esponente del gruppo di destra Conservatori e riformisti (160 voti). Zahradil è la scelta che si avvicina di più alle linee-guida di Identità e democrazia, il cartello politico dei sovranisti capeggiato dalla Lega di Salvini, ma si è fermato a meno della metà dei voti incassati da Sassoli già al secondo turno di voti.
Non è andata meglio a Strasburgo, dove si giocava solo la partita della presidenza del Parlamento europeo. Il candidato eletto già al secondo turno di voti, Sassoli, appartiene al Pd e ai Socialisti&Democratici: rispettivamente il principale partito di opposizione al governo in Italia (il Pd) e uno dei gruppi che incarnano la vecchia Europa contestata da Lega e Cinque stelle (i Socialisti). Il voto per il numero uno dell’Eurocamera è segreto, ma è improbabile che le delegazioni dei due partiti abbiano dato la propria preferenza al candidato sostenuto in blocco da Socialisti, Popolari e Liberali. Anche se la sfida si è risolta quasi subito, gli unici concorrenti di peso alla sinistra e alla destra di Sassoli sono stati la Verde Ska Kelle r (133 preferenze al secondo voto) e il ceco Jan Zahradil, esponente del gruppo di destra Conservatori e riformisti (160 voti). Zahradil è la scelta che si avvicina di più alle linee-guida di Identità e democrazia, il cartello politico dei sovranisti capeggiato dalla Lega di Salvini, ma si è fermato a meno della metà dei voti incassati da Sassoli già al secondo turno di voti.
La
nomina dei 14 vicepresidenti dell’Eurocamera ha regalato, in compenso,
un successo ai Cinque stelle e un fiasco alla Lega. Gli aspiranti
vicepresidenti possono presentare la propria candidatura ed essere
eletti a maggioranza assoluta. Se il numero di vincitori resta sotto una
quota di 14 eletti, si procede a un secondo round. Nel caso non si
arrivi neppure in questo caso alla soglia necessaria di 14 figure, si
procede a un ulteriore voto a maggioranza semplice. È quello che è
successo a Strasburgo. I Cinque stelle hanno incassato la riconferma di
Castaldo, eletto con 248 voti al terzo ballottaggio. La Lega ha subito
la sconfitta di Mara Bizzotto,già europarlamentare nella legislatura
2014-2019, ferma a 142 voti e scavalcata dal suo “alleato” di governo
nella stessa manche di voti. Bizzotto se l’è presa con «le élite e
i burocrati di Bruxelles», accusati di voler «cancellare la volontà
popolare». Ma a remarle contro è stata, indirettamente, anche la sua
stessa famiglia politica. Identità e democrazia, rappresentata a a
Bruxelles da 73 eurodeputati, si è astenuta nel ballottaggio decisivo,
abbandonando l’aula in segno di protesta contro il ricorso al voto
elettronico segreto.
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