Friday, July 05, 2019

Ue, perché il governo Lega-5 Stelle ha perso la partita delle nomine

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Il vicepremier Matteo Salvini aveva annunciato un terremoto nelle istituzioni Ue. Il risultato, per ora, non gli ha dato ragione: l’Italia è fuori da quasi tutti i ruoli di peso, con l’eccezione del (socialista) David Sassoli alla guida del Parlamento europeo. Male anche le nomine dei vicepresidenti: la spunta solo il grillino Cataldo, a spese della leghista Bizzotto

di Alberto Magnani
Luigi Di Maio, Matteo Salvini, Giuseppe Conte (Ansa)
Luigi Di Maio, Matteo Salvini, Giuseppe Conte (Ansa)

La «rivoluzione del buonsenso» di Salvini parte un po’ a rilento. Le maratone negoziali per il ricambio dei nuovi vertici Ue si sono risolte con un pacchetto di nomine che ha escluso (quasi) del tutto esponenti graditi o sponsorizzati dal governo Lega-Cinque stelle. La possibile presidente della Commissione Ursula von der Leyen è un membro della Unione cristiano-democratica di Angela Merkel, il neopresidente del Consiglio europeo Charles Michel appartiene alla famiglia europea dei liberali, la nuova numero uno della Bce Christine Lagarde è stata spinta da Emmanuel Macron, l’alto rappresentante per la Politica estera Josep Borrell è un vecchio volto della famiglia dei Socialisti&Democratici. Così come è socialista l’unico italiano eletto in un ruolo di peso: l’eurodeputato del Partito democratico David Sassoli , neopresidente del Parlamento europeo, nominato al secondo turno di voti grazie all’appoggio di Partito popolare europeo e dei liberali confluiti nel gruppo Renew Europe.
I Cinque stelle si consolano con la rielezione del loro eurodeputato Fabio Massimo Castaldo fra i 14 vicepresidenti dell’Eurocamera, rendendolo il primo nella storia a ricoprire l’incarico senza essere iscritto a un gruppo politico. Resta a bocca asciutta la Lega, ostile all’elezione di Sassoli e delusa dal flop della candidatura alla vicepresidenza dell’eurodeputata Mara Bizzotto. La diretta interessata ha parlato di una «sconfitta della democrazia» e di uno «schiaffo a nove milioni di italiani che hanno votato Salvini». Ma le ragioni del doppio scivolone, a Bruxelles e Strasburgo, vanno cercate su altri fronti.
A Bruxelles il boomerang del no a Timmermans
In una intervista al Corriere della Sera, il premier Giuseppe Conte si è detto soddisfatto del pacchetto di nomine formulato a Bruxelles dal Consiglio europeo dopo una maratona di oltre tre giorni. O meglio, le cose sarebbero anche «potute andare peggio» rispetto alla rosa finale decisa dai leader europei. Ma è così vero? L’impatto maggiore del governo Lega-Cinque stelle, rappresentato proprio da Conte a Bruxelles, è stato quello di opporsi a un nome che sembrava in pole position per la carica di presidente della Commissione: l’olandese Frans Timmermans, già candidato-guida dei Socialisti alla guida dell’esecutivo Ue, catapultato improvvisamente fra i favoriti dopo l’endorsement pubblico di Angela Merkel. L’Italia si è messa di traverso alla sua nomina insieme a un blocco di «10-11 paesi», a partire dall’Ungheria di Viktor Orban, dicendosi contraria più al «metodo di scelta» che alla persona.
Una perifrasi per attaccare il meccanismo degli spitzenkandidat, i candidati indicati dai partiti come lo stesso Timmermans o il tedesco Manfred Weber, visto che avrebbe «penalizzato l’Italia». Il risultato è che Timmermans è uscito di scena, ma la sua attuale sostituta si sposa a fatica con le inclinazioni dell’esecutivo italiano: appunto von der Leyen, ministro della Difesa nel governo di Angela Merkel in Germania. Timmermans ha sempre mantenuto buoni rapporti con il nostro paese (e la nostra lingua: parla italiano), segue una linea flessibile sui conti pubblici ed è favorevole, come il suo gruppo, a una riforma del regolamento di Dublino che incentivi la cooperazione dei vari paesi Ue nella gestione dei migranti. Von der Leyen è comunque espressione della Cdu e del governo tedesco, additato più volte dal governo Lega-Cinque stelle come una sorta di nemesi delle linee guida dell’esecutivo italiano su politica economic a e gestione dei flussi migratori (anche se Merkel si è sempre espressa a favore di una revisione del trattato , poi osteggiata dallo stesso governo italiano).

La «beffa» di Sassoli e il flop delle vicepresidenze
Non è andata meglio a Strasburgo, dove si giocava solo la partita della presidenza del Parlamento europeo. Il candidato eletto già al secondo turno di voti, Sassoli, appartiene al Pd e ai Socialisti&Democratici: rispettivamente il principale partito di opposizione al governo in Italia (il Pd) e uno dei gruppi che incarnano la vecchia Europa contestata da Lega e Cinque stelle (i Socialisti). Il voto per il numero uno dell’Eurocamera è segreto, ma è improbabile che le delegazioni dei due partiti abbiano dato la propria preferenza al candidato sostenuto in blocco da Socialisti, Popolari e Liberali. Anche se la sfida si è risolta quasi subito, gli unici concorrenti di peso alla sinistra e alla destra di Sassoli sono stati la Verde Ska Kelle r (133 preferenze al secondo voto) e il ceco Jan Zahradil, esponente del gruppo di destra Conservatori e riformisti (160 voti). Zahradil è la scelta che si avvicina di più alle linee-guida di Identità e democrazia, il cartello politico dei sovranisti capeggiato dalla Lega di Salvini, ma si è fermato a meno della metà dei voti incassati da Sassoli già al secondo turno di voti.

La nomina dei 14 vicepresidenti dell’Eurocamera ha regalato, in compenso, un successo ai Cinque stelle e un fiasco alla Lega. Gli aspiranti vicepresidenti possono presentare la propria candidatura ed essere eletti a maggioranza assoluta. Se il numero di vincitori resta sotto una quota di 14 eletti, si procede a un secondo round. Nel caso non si arrivi neppure in questo caso alla soglia necessaria di 14 figure, si procede a un ulteriore voto a maggioranza semplice. È quello che è successo a Strasburgo. I Cinque stelle hanno incassato la riconferma di Castaldo, eletto con 248 voti al terzo ballottaggio. La Lega ha subito la sconfitta di Mara Bizzotto,già europarlamentare nella legislatura 2014-2019, ferma a 142 voti e scavalcata dal suo “alleato” di governo nella stessa manche di voti. Bizzotto se l’è presa con «le élite e i burocrati di Bruxelles», accusati di voler «cancellare la volontà popolare». Ma a remarle contro è stata, indirettamente, anche la sua stessa famiglia politica. Identità e democrazia, rappresentata a a Bruxelles da 73 eurodeputati, si è astenuta nel ballottaggio decisivo, abbandonando l’aula in segno di protesta contro il ricorso al voto elettronico segreto.

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