L'EDITORIALE DI FABIO PONTIGGIA
© Reguzzi
di FABIO PONTIGGIA - Diventa
sempre più attuale il dibattito sul potere esercitato dai cittadini con
gli strumenti della democrazia diretta. La riuscita della domanda
d'iniziativa popolare per l'abolizione della libera circolazione delle
persone è solo l'ultima sollecitazione su questo fronte. La questione si
era infiammata dopo l'approvazione dell'articolo costituzionale contro
l'«immigrazione di massa». Secondo i vincitori del 9 febbraio 2014 la
legislazione di applicazione, varata dalle Camere federali, sarebbe una
crassa violazione della volontà popolare, che andava invece attuata
incondizionatamente. Di qui la nuova iniziativa.
Al di là del fatto che questa
interpretazione costituisce una palese falsificazione (l'iniziativa
«Stop all'immigrazione di massa» chiedeva infatti non di rescindere
l'Accordo sulla libera circolazione, bensì di rinegoziarlo con
Bruxelles, ed era silente su cosa si sarebbe dovuto fare nel caso in cui
il negoziato non fosse andato in porto), interessa qui la questione
generale della sovranità popolare. Viviamo infatti una stagione politica
in cui i principi fondamentali della nostra civiltà giuridica e
istituzionale, forgiata dal costituzionalismo, sono messi a dura prova,
stiracchiati da tutte le parti, a volte persino violentati. La
limitazione del potere, tramite la sua suddivisione (e grazie al primato
della legge, garante delle libertà e dei diritti dell'individuo),
sembra stranamente non doversi applicare ad un soggetto: i cittadini che
esercitano direttamente, appunto, il potere. Nella visione populista e
sovranista il volere dei cittadini che decidono direttamente, non
delegando la decisione ai loro rappresentanti, dovrebbe essere applicato
senza alcun se e senza alcun ma. Questa concezione assolutista del
potere popolare e quasi sacrale del «popolo» (anzi: del «Popolo») è
incompatibile con l'architettura costituzionalista che regge le nostre
democrazie e per realizzare la quale ci son voluti secoli di dure
battaglie contro l'assolutismo. Nessun potere, nemmeno quello popolare, è
illimitato. Non è vero che il «Popolo» ha sempre ragione. E soprattutto
non è vero che il «Popolo» può decidere ciò che vuole. Abbiamo
dimenticato Tocqueville. «Io considero empia e detestabile - scrive ne
La democrazia in America - questa massima: che in materia di governo la
maggioranza di un popolo ha il diritto di far tutto».
Il «Popolo» è una forzatura
concettuale che fa torto alla realtà. Non è un'entità omogenea, formata
da individui che hanno tutti la stessa opinione e interessi convergenti.
È, al contrario, un insieme variegato di persone con idee diversissime
sui problemi della società, su come li si debba risolvere e soprattutto
con interessi discordanti e spesso contrapposti, insanabilmente
antagonisti. Per questo la sovranità popolare non può essere assoluta:
se lo fosse, si tradurrebbe in quella che Tocqueville ha definito la
«tirannide della maggioranza», che schiaccia la minoranza soccombente.
«Se voi ammettete che un uomo fornito di tutto il potere (il tiranno,
ndr) può abusarne contro i suoi avversari, perché non ammettete ciò
anche per la maggioranza? Gli uomini, riunendosi, mutano forse di
carattere?».
Se un giorno il «Popolo», convinto e
lasciato agire da abili demagoghi, approvando a maggioranza
un'iniziativa costituzionale decidesse di abolire la libertà di stampa, o
di togliere alle donne il diritto di voto e di eleggibilità, o di
vietare le religioni, non si potrebbe certo dare seguito pratico a tali
scelte. Poco, anzi nulla, importa che sia volontà popolare espressa
democraticamente nel segreto dell'urna.
Sono casi estremi che mai si daranno.
Ma l'enfasi oggi posta sulla volontà del «Popolo», che primeggerebbe su
tutto, è un vento alimentato nella direzione sbagliata. La patria della
democrazia diretta dovrebbe essere maestra nel ricordare che la sua
creatura prediletta ha invece limiti invalicabili
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